La finanza ha la fondamentale responsabilità di traghettare i capitali verso la transizione energetica. Se ne è discusso al Salone del Risparmio 2022.
Climate Action 100+, altre 61 aziende sotto osservazione: “L’Accordo di Parigi va rispettato”
Centinaia di investitori si sono messi all’opera per convincere le grandi azienda a cambiare. Dopo un anno e mezzo di lavoro, i primi risultati si vedono.
Era il mese di dicembre del 2017 ed era appena calato il sipario sul One Planet Summit di Parigi, che si era tenuto a due anni esatti dalla conclusione della storica Cop 21. In quell’occasione, 225 grandi investitori avevano deciso di fare la loro parte, mettendo sotto la lente le cento aziende più inquinanti del mondo per convincerle a fare di più sul fronte del clima. A un anno e mezzo di distanza quest’iniziativa, che prende il nome di Climate Action 100+, non è certo caduta nel dimenticatoio. Anzi, si allarga e si rafforza: ora gli investitori sono 289 e le aziende “osservate speciali” sono 161.
Leggi anche: Climate Action 100+, ultima chiamata per le cento aziende più inquinanti
Quali investitori hanno aderito a Climate Action 100+
In questo momento alla campgna Climate Action 100+ aderiscono 289 investitori, che provengono da 29 paesi e gestiscono collettivamente circa 30mila miliardi di dollari. Nella lista si leggono nomi come Amundi, Axa, CalPers, Hsbc Global Asset Management, New York City Pension Funds, Nordea Asset Management. In sintesi, stiamo parlando di colossi bancari, finanziari e assicurativi che detengono nei loro portafogli le quote delle più grandi società del mondo. Colossi che dialogano con il management, esercitano il loro diritto di voto all’assemblea degli azionisti e, se proprio non si sentono affini alle politiche di un’azienda, possono tranquillamente spostare i loro investimenti altrove.
UPDATE: We have scaled up our investor engagement with the largest systemically important #GHG emitters, while expanding our focus list of companies to 161. Learn more: https://t.co/u7XKFFCCXp@AIGCC_update@IGCC_Update@CeresNews@PRI_News@IIGCCnews
— Climate Action 100+ (@ActOnClimate100) 2 luglio 2018
Altre 61 aziende inquinanti verranno tenute sotto controllo
Il primo nucleo su cui fare pressione comprendeva cento aziende, scelte perché le loro attività avevano un impatto ambientale particolarmente pesante. Quasi tutte, non a caso, appartengono al settore dell’energia, del petrolio e dei trasporti.
La novità sta nel fatto che, dopo un anno e mezzo di lavoro, ne sono state incluse altre 61, comprese Air France – Klm, American Airlines, Colgate-Palmolive, Danone, Iberdrola, The Coca-Cola Company, Transcanada e molte altre. Perché allargare il raggio d’azione? Perché, si legge nel sito ufficiale, le emissioni da sole non spiegano tutto. Le società aggiunte alla lista, oltre ad avere un grosso peso nei portafogli degli investitori, “offrono una significativa opportunità di guidare la transizione energetica, a livello globale o regionale”. Oppure, in alternativa, “potrebbero risultare esposte a rischi finanziari legati al clima, compresi rischi per i loro beni fisici, che non possono essere rappresentati unicamente in termini di emissioni”. Infine, gli investitori hanno fatto in modo di includere una rappresentanza piuttosto equa dei vari continenti.
Cosa chiede Climate Action 100+ e che risultati ha raggiunto finora
In linea con gli impegni presi con l’Accordo di Parigi, gli investitori chiedono a queste aziende fondamentalmente tre cose. Migliorare le politiche con cui intendono affrontare i cambiamenti climatici; ridurre le proprie emissioni di gas serra; e, infine, rafforzare la rendicontazione dei rischi finanziari legati ai cambiamenti climatici.
Finora, fa sapere l’organizzazione, si è già segnalato qualche importante passo avanti. 18 aziende monitorate su 100 hanno dato il loro supporto ufficiale alle raccomandazioni della Task Force on Climate Related Financial Disclosures (Tcfd), o hanno promesso di metterle in pratica in futuro. Quest’organismo, istituito nel 2015 dal Financial Stability Board del G20 e presieduto da Michael Bloomberg, ha appunto stilato una serie di linee guida che le aziende devono seguire per mettere nero su bianco il potenziale impatto dei cambiamenti climatici sul loro business.
Infine, il 22 per cento delle aziende ha stabilito (o ha promesso di farlo) un obiettivo a lungo termine di riduzione delle emissioni che risulti – come si dice in gergo – science-based, cioè coerente con un aumento delle temperature medie globali inferiori ai 2 gradi centigradi.
Tanti piccoli segnali, che messi a sistema danno una dimostrazione importante. Spendersi per il clima, allargare il dibattito, insistere e sensibilizzare non è tempo perso, ma può innescare il cambiamento. E nessuna azienda è abbastanza grande e potente da potersi permettere di ignorare una transizione che, di fatto, è già in corso.
Foto in apertura © Percy Ramírez / Oxfam
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