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Climbing Iran, un documentario racconta le sfide della climber iraniana Nasim Eshqi
Il documentario di Francesca Borghetti racconta la ricerca di libertà della climber iraniana Nasim Esqhi attraverso l’arrampicata e la montagna.
Il primo incontro avviene sulla pagina di una rivista: la regista Francesca Borghetti, sfogliandola, si imbatte nella fotografia di una giovane ragazza intenta ad arrampicare una parete rocciosa, con un sorriso sulle labbra e i capelli sciolti al vento. Poco più sotto il testo le svela che si tratta di Nasim Eshqi, una climber iraniana, definita come l’unica donna capace di aprire nuove vie sulle montagne del suo paese. È la prima volta che Borghetti vede una donna iraniana rappresentata in quel modo, senza velo, libera e nasce in lei una grande curiosità per un paese lontano, per il percorso di determinazione che Eshqi aveva intrapreso in un contesto naturale, ovvero quello della montagna.
La nascita di Climbing Iran
Lo step successivo per rispondere alle domande che si sono generate in lei, documentarista da moltissimi anni con un background in antropologia e da sempre interessata alle storie di donne, è quello di immergersi nella storia, chiedere a Eshqi il permesso di entrarvi e raccontarla al mondo. È così che nasce il documentario dal titolo “Climbing Iran”, scritto e diretto dalla stessa Borghetti, nonchè prodotto da Filippo Macelloni per NANOF srl e co-prodotto da Giordano Cossu per la francese Hirya Lab.
Dopo uno scambio di messaggi virtuali, il progetto del documentario comincia a concretizzarsi quando finalmente si vedono dal vivo: Eshqi è in Italia, grazie ad un visto, per partecipare ad uno shooting fotografico e, in quei giorni, Borghetti riesce ad intervistarla e a costruire le prime basi. Da quel momento, Borghetti comincia seriamente a scrivere, studiare il mondo dell’arrampicata e raggiunge anche Eshqi in Iran. Le è chiaro fin dal principio che quella in cui si sta imbarcando sarà una produzione lunga e travagliata, dove ogni immagine girata sarà allo stesso tempo rubata all’Iran che non consente di raccontare la vita ordinaria di una donna iraniana che vive nel paese, ma nel 2018 le riprese iniziano e nel 2021 la storia di Nasim Eshqi arriva agli occhi del mondo.
La cresciuta di una bambina iraniana
Durante la sua infanzia, Esqhi era una bambina iperattiva e per niente interessata a stare seduta e giocare con le altre bambine. Era molto più probabile trovarla assieme ai suoi fratelli, tra i quali si mischiava senza percepire alcuna differenza. Ma secondo l’Islam, a partire dai 9 anni, ogni bambina ha l’obbligo di indossare il velo e così anche per lei, che ora trova più difficile uniformarsi agli amici. Quello che le genera più rabbia è che da sempre ha avuto la sensazione di voler essere un maschio, perché l’Iran è un paese maschile e sono gli uomini a godere di maggiore libertà.
Ad oggi, in Iran, una donna che non indossa il velo o non lo fa correttamente può essere segnalata alle autorità e dover pagare una multa in contanti o addirittura essere detenuta per un periodo dai 10 giorni ai 2 mesi, anche se non mancano casi più gravi: un esempio è quanto accaduto all’avvocato per i diritti umani, Nasrin Sotoudeh, che fu condannata a 38 anni e 148 frustate per “incitamento alla corruzione” e “commissione di un atto peccaminoso”, in quanto apparsa in pubblico senza velo.
A tutto questo Eshqi ha sempre cercato di ribellarsi, usando abiti da ragazzo e avendo atteggiamenti maschili, ma anche indossando capi dai colori molto accesi.
A renderle la vita più sopportabile c’è riuscito solo lo sport: durante il periodo dell’università, Eshqi assiste per la prima volta a competizioni femminili e comprende che essere una donna con dei progetti è un sogno per il quale vale la pena combattere.
Lo sport come salvavita
Pratica arti marziali, contro il volere della famiglia che lo ritiene uno sport troppo violento, e il kickboxing, ma quando le viene proposto di andare all’estero a gareggiare contro altre atlete di paesi diversi, indossando rigorosamente il velo, nuovamente si genera in lei un senso di frustrazione e di rifiuto nei confronti di chi vorrebbe renderla uno strumento di pubblicità per il mondo politico. È in questo contesto che arriva nella sua vita l’arrampicata: la scopre per caso quando ha 23 anni e si rende subito conto che è una pratica sportiva diversa, più lenta rispetto agli altri sport che ha praticato e che la obbliga ad essere paziente. Eshqi comincia a crescere, a cambiare e dopo poco tempo segna una nuova direzione, diventando la prima donna ad aprire nuove vie di arrampicata in Iran.
Ad aiutarla nelle sue imprese ci sono anche amici uomini, molti dei quali si ricredono sul fatto che una donna possa raggiungere i livelli che lei ha raggiunto nell’arrampicata in Iran, all’interno di una comunità che è sempre stata molto piccola a livello femminile.
In città accetto le regole di condotta, ma qui in montagna è diverso. Non ha importanza se sei ricco o povero, nero o bianco, iraniano o italiano, uomo o donna. La gravità attira tutti giù con la stessa forza. E questo mi ha dato un grande senso di libertà e uguaglianza.
La possibilità delle donne di accedere al mondo dello sport in Iran o semplicemente rimanervi è comunque ancora un’impresa ardua: basti pensare a Samira Zargari, commissaria tecnica della nazionale iraniana di sci, che non ha potuto prendere parte ai mondiali di Cortina del 2021, vietatole dal marito, in ossequio alla legge vigente in Iran, che prevede che siano appunto i mariti a decidere se le proprie mogli possano ottenere un passaporto e/o viaggiare; così come era già successo nel 2015 a Niloufar Ardalan, capitano della nazionale femminile di calcio a cinque o nel 2017 a Zahra Nemati, medaglia d’oro di tiro con l’arco ai Giochi Paralimpici. L’unica speranza per queste situazioni è quella di appellarsi all’interesse nazionale, che delle volte risponde come accaduto quest’anno, il 12 ottobre, con il permesso alle donne di partecipare come spettatrici allo stadio per seguire la nazionale di calcio contro la Corea del Sud. Erano passati due anni dal divieto imposto in seguito alla morte di Sahar Khodayari, che si era data fuoco temendo di finire in carcere per aver tentato di entrare in uno stadio.
Nonostante tutto questo, Eshqi ha aperto più di 80 vie in stile sportivo e trad in Oman, Emirati Arabi Uniti, Armenia, India, Turchia e Georgia. Ha aperto vie fino all’ottavo grado e compiuto molte prime ascensioni e prime ascensioni femminili in stili differenti, anche se preferisce quello alpino. Inoltre, è stata insignita del King Albert Memorial Award per “la sostenibilità e l’eccezionale servizio prestato in relazione alla montagna”.
Una nuova via nelle Alpi
Fin dall’inizio del progetto, Borghetti e Eshqi hanno in testa un’idea, quella di portare Eshqi in Italia e filmarla mentre apre una nuova via sulle Alpi. Dopo aver contattato un alpinista trentino, Gianni Trepin, capace di aprire nuove vie su roccia in alta quota, che accoglie la cosa con entusiasmo, Borghetti lancia una raccolta fondi su una piattaforma italiana. Ma nonostante la cifra prefissata venga raggiunta, il sogno improvvisamente frena, perché la parola “Iran” nel titolo allarma il sistema di pagamento che scoprono essere gestito dagli Stati Uniti e che dunque blocca i fondi, a causa delle sanzioni americane contro il paese. I sostenitori però non si rassegnano, vogliono conoscere la storia di Eshqi e decidono di donare i soldi direttamente a Borghetti, rimettendo la macchina in moto. Eshqi può perciò andare in Val di Sole, dove lei e Trepin scelgono nei pressi del Passo del Tonale la parete e la via da aprire, che prenderà il nome di “Outside In”.
Eshqi ha arrampicato nei paesi in cui ottenere il visto era più semplice – India, Armenia, Turchia – perciò l’Europa è sempre stata un sogno per lei. A permetterle di raggiungerla la prima volta sono stati Stefan Glowacz e la giornalista Karin Steinbach, che le hanno fatto un invito ufficiale per poter raggiungere il continente in occasione di uno shooting per il catalogo 2015 di un brand outdoor: arrampicava durante il giorno, dormiva sul treno di notte mentre si spostava da un luogo all’altro.
Ogni tanto pensa al fatto di venire a vivere qui, in Europa, dove la vita da donna sportiva sarebbe decisamente più facile, ma riconosce che l’Iran l’ha resa la donna che è.
Donare fiducia ad altri
Tutto ciò che ha vissuto nella sua vita, Eshqi non vuole tenerlo per sè e le piace pensare di essere una persona che ha avuto molte esperienze e che può passarle ad altri con la sua stessa difficoltà. Per questo insegna a ragazze e ragazzi ad arrampicare, portandoli in falesia in Iran, seguendoli passo dopo passo sulla parete, motivandoli. Mentre in palestra uomini e donne si devono categoricamente allenare in momenti separati, all’aperto finalmente possono condividere questa esperienza.
Eshqi sa che c’è ancora molto da fare, a livello di sistema, della situazione attuale, dove le persone vengono spinte sempre più verso il basso, ma che invece possono imparare a darsi fiducia l’uno con l’altro, esattamente come in falesia.
Borghetti, al telefono, mi racconta che ad oggi Eshqi fatica molto a rimanere in Iran, dove il clima è opprimente ed è sempre più difficile uscire dal paese, nonchè trovare ciò che necessita per aprire nuove vie. Fin dalla sua prima visita, ha percepito come il tutto sia molto condizionato dal contesto internazionale: se durante la presidenza americana di Barack Obama, l’atmosfera era molto distesa e si palpava nell’aria la possibilità che il paese andasse finalmente incontro ad una laicizzazione della società, con Donald Trump e le sanzioni imposte, la situazione si è nuovamente irrigidita. Eppure Eshqi riesce a trovare in parete quella libertà che le manca e la porta con sè nella vita cittadina, quella coperta da un velo.
L’inizio di un’amicizia
Al termine di questa avventura, tra Borghetti e Eshqi è nata una bellissima amicizia: si sono conosciute meglio, scoperte, scontrate ma soprattutto apprezzate e sanno di poter contare l’una sull’altra.
Nasim è molto orgogliosa di me, è orgogliosa del fatto che io ce l’abbia fatta, è contenta del film e di come è venuto. Vorrebbe che io avessi più successo possibile (ride). Nasim è una leonessa, mi da una forza immensa. Siamo vicine come due amiche, ci sentiamo in continuazione e ci mandiamo lunghi vocali.
La voce di Borghetti compare molto poco all’interno della narrazione e mi svela che è stata una delle ultime cose che si è deciso di inserire. Quando però la si sente parlare, si percepisce un profondo rispetto nei confronti di Eshqi, così come si comprende dai suoi racconti personali che il loro è stato un incontro importante nel suo percorso come donna, di come si sia nutrita della sua determinazione, la stessa che usa per arrivare alla fine di una via o aprirne una nuova, la stessa che ha preso in prestito per concludere questo progetto e per provare l’arrampicata:
È stata una grande emozione, perché dietro c’era tutto il resto, c’era tutto il progetto e la montagna che io stavo scalando. Ha avuto un valore in più per me. È stata Nasim a comprarmi le scarpette di arrampicata, ha sempre voluto che lo facessi, ma era evidente che io stavo scalando un’altra montagna.
Ed è vero, dopo poco meno di un’ora di visione del documentario, ci si sente pervasi da una forza che non si pensava di avere, passata dallo schermo dentro ogni muscolo e ossa di chi osserva. Sembra di essere arrivati in cima anche noi assieme a Eshqi e a Trepin, di essere con lei a raccogliere libertà sulla roccia prima di immergersi nuovamente in un sistema che non sembra vederla nonostante le innumerevoli sfide portate a termine, nonostante l’esperienza che continua a donare agli altri. La potete vedere e provare anche voi quella forza, se non lo avete già fatto al cinema in quest’ultimo mese grazie alla distribuzione nelle sale di Mescalito Film. Basta regalarvi 50 minuti da trascorrere su Amazon Prime Video, Apple+, Nexo Digital , Chili o Itaca on demand.
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