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Come il cloud computing può essere a ridotte emissioni di CO2
Da oggi è possibile optare per servizi di cloud computing che sfruttano energia prodotta con ridotte emissioni di anidride carbonica.
Immaginate di poter scegliere quali computer dovranno ricevere, archiviare, analizzare e processare i vostri dati sulla base dell’energia prodotta con ridotte emissioni di anidride carbonica. Dallo scorso 17 marzo Google Cloud offre questa possibilità: optare per dispositivi destinati al cloud computing dal ridotto impatto ambientale, alimentati per la maggior parte da fonti rinnovabili.
Data center ed energia prodotta senza emissioni di CO2
L’annuncio rientra nella strategia promossa da Google Cloud di decarbonizzare la fornitura di elettricità dei centri di dati, o data center. Già nel settembre 2020 il colosso tecnologico aveva dichiarato di voler usare entro il 2030 il 100 per cento di energia “libera” da emissioni di anidride carbonica, CO2, in qualsiasi sede, 24 ore su 24, sette giorni su sette.
L’indicatore carbon free per il cloud computing
L’indicatore della percentuale di energia carbon free, o carbon free energy percentage-Cfe%, sarà uno dei parametri che l’utente avrà a disposizione per monitorare l’attività di cloud computing, comprensiva di tanti servizi tra cui l’archiviazione dati o l’apprendimento automatico, in inglese machine learning. Questo indicatore comprenderà i valori della percentuale di energia pulita richiesta e fornita su base oraria e le sue variazioni. Tenendo conto di due fattori: il tipo di centrale che in quel determinato momento ha prodotto l’energia consumata e la quantità di energia rinnovabile disponibile nella rete.
Google Cloud condividerà il dato per ciascuna area geografica, così da aiutare il cliente a scegliere i centri per l’elaborazione dei dati più rispettosi dell’ambiente e a osservare l’evoluzione dell’approvvigionamento energetico.
I consigli per un cloud computing più rispettoso dell’ambiente
Per scegliere la sede dei propri dati più rispettosa dell’ambiente ci sono altre possibilità. Tra queste, il colosso tecnologico suggerisce di impostare una politica organizzativa per i propri dati e optare per un sottoinsieme di regioni. Nel caso la scelta ricada sugli Stati Uniti, riporta il Google Italy blog, è meglio “circoscrivere i carichi di lavoro a Iowa e Oregon, rispetto a Las Vegas e Carolina del Sud”. Così da “godere di un’alimentazione derivante da energia priva di emissioni di carbonio maggiore del 68 per cento rispetto alla media”.
Più informazioni al cliente
In questa tabella riportiamo i valori più aggiornati, suddivisi per area geografica e città, di tre indicatori: l’indicatore della percentuale di energia carbon free adoperata su base oraria; l’intensità di CO2 della rete, che riflette le emissioni lorde medie del ciclo di vita per unità di energia; le emissioni nette di anidride carbonica sulla base degli investimenti nelle rinnovabili e delle attività di compensazioni di carbonio promosse da Google Cloud.
Area geografica | Paese | Indicatore della percentuale di energia senza CO2 | Intensità di carbonio della rete (gCO2eq/kWh) | Emissioni nette di CO2 di Google Cloud |
---|---|---|---|---|
Asia orientale | Taiwan | 19% | 541 | 0 |
Nord Europa | Finlandia | 77% | 181 | 0 |
Europa orientale | Belgio | 68% | 196 | 0 |
Europa occidentale | Londra | 54% | 257 | 0 |
Sud America | San Paolo | 87% | 109 | 0 |
Stati Uniti | Iowa | 78% | 479 | 0 |
Stati Uniti | Las Vegas | 13% | 491 | 0 |
Google Cloud Platform è presente in oltre 200 Paesi e regioni. Recentemente ha esteso la sua rete, tra le altre, a Seul, Salt Lake City, Las Vegas e Giacarta e conta di arrivare a Milano. È rincuorante pensare a quanto le nostre città, sempre più elettrificate, potrebbero beneficiare di una conversione sostenibile di questi colossi tecnologici. Con l’auspicio che il buon esempio sia virale.
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