Esistono alcune aree sulla Terra che trattengono gas ad effetto serra in quantità tale che, qualora fossero dispersi nell’atmosfera, non sarà possibile centrare l’obiettivo di azzerare le emissioni nette entro il 2050. In altre parole, se degraderemo queste zone, e non avremo abbastanza tempo a disposizione per rigenerare tali “serbatoi” di CO2. Di conseguenza, sarà impossibile salvare il clima, limitando la crescita della temperatura media globale ad un massimo di 1,5 gradi, di qui alla fine del secolo, rispetto ai livelli pre-industriali.
Dal 3,3 per cento delle terre emerse dipende il nostro futuro
A spiegarlo è uno studio pubblicato da Nature Sustainability, secondo il quale tali “riserve di CO2 non rigenerabili” sono concentrate in una superficie del Pianeta relativamente piccola, pari al 3,3 per cento delle terre emerse. La maggior parte del biossido di carbonio in questione è presente in torbiere, mangrovie o antiche foreste sparse sui sei continenti. Qualora tali ecosistemi fossero dunque degradati o distrutti a causa delle attività umane, non avremo modo di salvaguardare il clima terrestre.
Gli scienziati autori dello studio hanno realizzato una cartografia di tali immense “riserve” di CO2. Delimitando le quali si ottengono, in qualche modo, le “frontiere” che non possiamo permetterci di oltrepassare se vogliamo mantenere intatta la speranza di centrare gli obiettivi climatici che si è fissata la comunità internazionale.
Lo studio indica in particolare che, qualora dovessero essere intaccati tali spazi naturali, anche solo in modo parziale, occorrerebbe compensare integralmente la perdita. Parliamo in particolare di zone presenti nel bacino del Congo, nell’Amazzonia occidentale, nella costa settentrionale del Pacifico americano, così come in Siberia, in una porzione dell’Oceania (Australia) e nel sud-est asiatico (ad esempio Indonesia).
New mapping pinpointed the “irrecoverable” carbon-rich forests & peatlands that humanity cannot afford to destroy if climate catastrophe is to be avoided, meaning that natural regeneration could not replace its loss by 2050. By @dpcarringtonhttps://t.co/nk4vHdm2mF#deforestationpic.twitter.com/5Z5APHxaAM
Il ruolo centrale delle popolazioni indigene per il clima
A mettere in pericolo le riserve non rigenerabili di CO2, e dunque il clima della Terra, sono in particolare la deforestazione legata al commercio del legname, all’agricoltura e gli allevamenti. Ma anche gli incendi, che a loro volta sono causati spesso dalla siccità, provocata a sua volta dai cambiamenti climatici. Dal 2010, tale pressione sulle zone critiche ha comportato emissioni di biossido di carbonio pari a 4 miliardi di tonnellate.
Complessivamente, si stima che il Pianeta ne conservi tra 139 e 442 miliardi di tonnellate. Metà delle quali sono concentrate proprio nel 3,3 per cento di terre indicato dallo studio di Nature Sustainability. Un terzo di tali aree è gestito da comunità autoctone, a conferma del ruolo cruciale delle popolazioni indigene dal punto di vista della lotta ai cambiamenti climatici.
Uno studio del Met Office spiega che le concentrazioni di CO2, nel 2024, potrebbero essere tali da impedire il raggiungimento degli obiettivi climatici.
Grazie a immagini dettagliate della Nasa, si possono studiare le capacità di catturare biossido di carbonio di singoli alberi nelle terre aride africane.
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