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Storia della pittura aborigena
Elaborati disegni dai colori incredibili che raccontano in maniera fiabesca la natura di un popolo. Le origini della pittura aborigena in un breve excursus
La pittura aborigena ebbe inizio nel 1971 in un luogo chiamato Papunya, un
remoto insediamento aborigeno nel deserto occidentale non molto
lontano da Alice Springs, un luogo senza identità tribale
“creato” dalle politiche razziste e assimilazioniste del governo
australiano. Geoffrey Bardon, un giovane artista
bianco divenuto insegnante della piccola e sperduta scuola di
Papunja, ideò un modo per ricongiungere le genti Pintupi,
Walpiri, Luritja, Aranda e Anmatyerre – trasferite con la
forza e costrette a vivere miseramente in un ambiente
a loro estraneo – ai saperi antichi della propria cultura. Colpito
dalla bellezza dei grandi e complessi disegni eseguiti sulla sabbia
e sul corpo (body
painting) in occasione delle feste tribali della
comunità, egli riuscì a convincere numerosi allievi a
dipingere sulla parete della scuola un murale ispirato alla
mitologia della Creazione (dreaming).
In seguito a questa iniziativa anche un gruppo di anziani,
dapprima riluttanti nel riprodurre i sacri disegni ancestrali,
cominciò a dipingere sui muri e poi sulle tele le topografie
mitiche e oniriche del Dreamtime delle quali
custodivano i segreti iniziatici, usando i colori impiegati per la
pittura tradizionale: il nero, il bianco, il giallo e il rosso.
Saltuariamente l’azzurro verdastro. Con la pittura del deserto
nacque l’Aboriginal Art Movement, con l’intento di
rivitalizzare e salvaguardare un universo di sapere minato dalla
deculturazione, e fu così che l’insignificante Papunya si
affermò come primo centro di produzione dell’arte aborigena.
Fino al 1982 i dipinti aborigeni, concentrati sulla
rappresentazione delle cerimonie di iniziazione, furono
pressoché ignorati dal pubblico, dalle istituzioni e dal
mercato artistico.
Va detto che a Papunya gli artisti iniziarono dapprima a
dipingere come nel paleolitico,
utilizzando minerali ferrosi, ossidi di manganese e pigmenti
naturali. Ma in brevissimo tempo guadagnarono dimestichezza anche
con le vernici acriliche e la tela, rendendo duratura e
trasportabile la loro arte, che fino ad allora utilizzava il corpo
e il terreno come supporti. In questo modo essa ha potuto essere
conosciuta al di fuori dei propri confini territoriali.
Le opere di autori come…
Le opere di autori come Yala Yala Gibbs Tjungurrayai, Walter
Tjampitjinpa, Dick Pantimatju Tjuppurula, Ray Inkamala
Tjampitjinpa, Clifford Possum Tjapaltjarri, Tim Leura Tjapaltjarri,
Long Jack Phillipus, Johnny Warangkula Tjupurrula, Billy Stockman
Tjapaltjarri, Makinti Napanangka, Ningura Nangala, Tatali Nangala,
ottennero importanti riconoscimenti raggiungendo quotazioni
stratosferiche, molte di esse furono acquistate alle aste
internazionali per cifre da capogiro, ospitate nelle più
importanti gallerie d’arte australiane e in quelle di città
come Londra, New York, Parigi, Dusseldorf, Francoforte, Basilea,
Los Angeles, Milano, Torino, Firenze, Roma, Venezia. Queste opere
costituiscono insieme una delle espressioni artistiche più
significative prodotte in Australia a partire dagli anni ’70.
Ispirati dal successo degli artisti di Papunya, gli anziani di
altri insediamenti come Balgo Hill, Haasts Bluff e Yuendumu, furono
incoraggiati a trasporre il cerimoniale su terra ed il disegno del
corpo su superfici più durevoli. Di queste
comunità sono famose le opere di due artiste, Narputta
Nangala e Alice Nampitjnpa, che hanno sviluppato uno stile del
tutto personale per raccontare le proprie storie individuali.
Un’altra importante tappa del movimento
artistico aborigeno è quella di Utopia che
prende il nome dal territorio dove si è sviluppato lo stile
che attinge ai cerimoniali tradizionali conosciuti come alweye. Nel
1977 le donne di Utopia, nel Deserto Orientale, appartenenti alle
comunità Alyawarre e Anmatyerre, furono invitate a
partecipare ad un progetto per teli di seta batik, che offrì
loro la possibilità di esprimere i propri valori culturali.
Il progetto ebbe un tale successo che molte di esse iniziarono a
dipingere con colori acrilici e tele, lavorando con uno stile
bellissimo e colorato, fortemente ricercato, di grande potenza
iconografica. Tra queste, spiccano figure come Emily Kame
Kngwarreye, leader di quello che viene chiamato Women’s Batik Group
e Gloria Petyarre, artiste di grandissima caratura. Le loro tele
sono classificate come opere d’arte contemporanea. Emily Kame
Kngwarreye ha rappresentato il suo paese alla Biennale di Venezia
del 1997.
Molti artisti aborigeni, uomini e donne, hanno mantenuto uno
stile tradizionale (mimi, stencilling, a raggi x) mentre altri
autori “urbanizzati” si sono volti ad ampliare i concetti originari
(free art). Gli affascinanti dreamings caratterizzati
dagli intricati disegni multicolori, con le famose puntinature
cromatiche, le strutture minimaliste, le forme geometriche di
semplice articolazione, si trasformano invece in straordinarie
astrazioni colorate ed effetti ottici interessanti sotto il profilo
figurativo che ricordano molto l’arte contemporanea occidentale. I
nuovi soggetti non vengono dal mondo spirituale ma vanno oltre
l’arte tribale. Traggono ispirazione da elementi alieni alla
cultura nativa dando vita a un linguaggio attento alle nuove
problematiche sociali e politiche, richiamando l’attenzione dei
whitefella (bianchi australiani) e del mondo intero sui
diritti indigeni, in primo luogo quelli territoriali.
Per spiegare il significato della pittura presso il suo popolo
l’artista aborigeno Nelson Tjakamarra, in occasione
dell’inaugurazione del murale prodotto per l’Opera House di Sydney
nel 1988, tenne questo discorso: Ora vogliamo mostrare i nostri
dipinti a tutti: mostrarli al mondo. Noi vogliamo raccontare alla
gente che questo è il posto più importante per noi.
Questa è la nostra terra! Essi ce l’hanno portata via senza
riflettere su quello che stavano facendo. Ce l’hanno portata via
come se noi non fossimo a. Questa è la ragione per cui noi
ora vogliamo mostrare al mondo la nostra cultura del Dreaming, in
modo che essi possano comprendere il nostro modo di vivere.
Maurizio Torretti
Immagine: Bobby West,
Untitled
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