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Perché dovremmo riprendere la coltivazione di canapa in Italia
Estremamente versatile come fibra tessile, la canapa necessita di poca acqua. Nel nostro Paese si coltivava molto, ora davvero poco.
- Nel secondo dopoguerra l’Italia era il secondo produttore di canapa dopo la Russia, oggi in Italia questa coltivazione è presente, non ai livelli di un tempo. Oggi il primato lo detiene la Cina.
- La canapa è in grado di produrre una fibra tessile altamente resistente e biodegradabile, ma non solo: la pianta ha bisogno di pochissima acqua per crescere.
- La fibra di canapa, oltre ad essere utilizzata in ambito tessile, trova applicazioni anche nel settore automobilistico: riportare la produzione italiana ai livelli pre-guerra sarebbe importante da un punto di vista ambientale.
Per molti anni alla canapa non veniva associato niente di buono, almeno non nel panorama culturale mainstream. Ecco, è il momento di ribaltare la situazione e tessere, è proprio il caso di dirlo, una bella ode alla canapa. La sua coltivazione è in primo luogo un toccasana per l’ambiente, e poi questa pianta ha moltissime applicazioni che intersecano la vita di tutti i giorni, dal tessile all’industria cosmetico-farmaceutica fino all’alimentare.
Fino al secondo dopoguerra l’Italia era il secondo maggior produttore di canapa dopo la Russia, poi complice un mix di fattori come l’avvento nell’industria tessile di altre fibre più economicamente convenienti e il pregiudizio legato ai cannabinoidi, abbiamo ceduto il nostro posto sul podio ad altre nazioni. Oggi è la Cina a detenere lo scettro di maggior produttore e noi come nazione abbiamo perso un alleato importante contro i cambiamenti climatici.
Canapa: poca acqua e filato biodegradabile
La canapa, così come il lino, non necessita di acqua in più rispetto a quella piovana, per crescere ha bisogno di quantitativi irrisori di fitosanitari o concimi. Il filato che si ottiene è biodegradabile e, se non ulteriormente lavorato o combinato con altri materiali, anche compostabile.
Non solo, essendo una fibra naturale non disperde microplastiche durante i lavaggi, cosa che invece succede abbondantemente nel caso delle fibre tessili. Insomma, avevamo il materiale dei miracoli per quanto riguarda la moda sostenibile e lo abbiamo snobbato. Non è troppo tardi per recuperare però, anche se servono investimenti e creazione di una cultura condivisa.
“Avevamo un know how canapiero importante, e lo abbiamo lasciato andare. Quando, nel secondo dopoguerra, sono entrate di prepotenza altre fibre sintetiche e il cotone coltivare la canapa non era più remunerativo per i contadini, che hanno deciso di abbandonarla”, spiega Pierluigi Fusco Girard, presidente del Linificio e Canapificio Nazionale. “Fino ad oggi poi è sempre stato un po’ complicato riportare la canapa sia in Europa che in Italia anche per via delle restrizioni legate al cannabinolo. Sicuramente ci sono stati nel tempo anche dei pregiudizi rispetto a questo materiale, ma il motivo principale rimane quello economico”. Peccato, perché la canapa è un ottimo materiale, sotto ogni punto di vista, oltre alle sue proprietà come pianta che aiutano l’ambiente, è perfetto per l’economia circolare: non si butta via nulla.
“Non esistono scarti di produzione: né dal punto di vista agricolo, dove quello che avanza viene riutilizzato se non nel tessile in altri settori, né dal punto di vista industriale, perché la fibra che viene utilizzata per produrre il filo una volta scartata può diventare la base per produrre altri tipi di filati, oppure essere impiegata in altri settori, come ad esempio l’edilizia, la carta o l’automotive“. La canapa ha infatti delle proprietà che la rendono unica non solo per il mondo dell’abbigliamento: le fibre di lino e canapa possono infatti andare a sostituire la fibra di vetro o, in alcuni casi, anche la fibra di carbonio.
“Il Linificio e Canapificio Nazionale, insieme con l’azienda italiana FiberTech, ha creato la carrozzeria di una Alfa Giulia gt elettrica completamente in fibra di canapa: le ripercussioni di queste applicazioni sono molto importanti sia perché andiamo a sostituire all’interno di un materiale composito una fibra naturale al posto di una sintetica, ma anche perché, a parità di performance, la fibra di canapa è più leggera e comporta un consumo di benzina, o di energia elettrica in questo caso, minore”.
Back on track
“Il momento migliore per piantare un albero è vent’anni fa. Il secondo momento migliore è adesso”. Così recita un famosissimo detto di Confucio. Non aver proseguito nella coltivazione della canapa ci lascia un rimpianto, perché non ne possiamo godere adesso, ma rimediare ora ci consentirà di non avere ulteriori rimpianti.
“Fino a ieri la canapa era appannaggio completo della Cina: oggi, grazie anche gli sforzi fatti dal Linificio e Canapificio Nazionale, questa coltura è tornata in Europa, in particolar modo in Francia, dove quest’anno abbiamo il primo raccolto in grado di produrre il filato necessario per realizzare tessuti prodotti integralmente in Europa. Ci stiamo lavorando già da quindici anni e abbiamo raggiunto questo risultato grazie anche a partner industriali, ma la canapa oggi è ancora un mercato molto piccolo. In Europa lino e canapa rappresentano lo 0,4 per cento delle fibre tessili e, all’interno di questa minuscola percentuale, la canapa pesa per il 10 per cento”, sottolinea Pierluigi Fusco Girard.
Come sistema Paese quali sono le tecnologie su cui si potrebbe investire per velocizzare il processo? “La canapa ha bisogno di macchinari specifici, sia a livello agricolo che pre-industriale, e hanno un costo considerevole. Per riportare 1500 ettari di canapa in Italia, che significherebbe produrre circa 800 tonnellate di filato, servirebbe un investimento di almeno 5 milioni di euro. Oggi le aziende agricole fanno fatica a pensare di fare investimenti ingenti senza la certezza del risultato finale. Se ci fossero a livello nazionale bandi e aiuti come quello promosso dalla regione Marche, che ha messo a disposizione un budget per sviluppare macchine preindustriali, sicuramente ci sarebbe un incremento della produzione nazionale”, conclude.
Tessile, ma non solo
Ci sono due tipi di filati ottenuti dalla canapa: quelli realizzati a partire dalla fibra lunga, che sono simili a quelli del lino, e quelli ottenuti dalla fibra corta, che invece sono più simili al cotone. Una doppia valenza che moltiplica anche lo occasioni d’uso. Il mondo del denim, ad esempio, si sta già muovendo per portare la canapa all’interno delle produzioni dei jeans. Molti brand presentano oggi sul mercato pantaloni con cotone la cui percentuale di canapa all’interno oscilla tra il 30 e il 40 per cento. “Di più oggi non è ancora possibile per un problema di carattere industriale-tecnologico. Utilizzando la fibra lunga, invece, si possono ottenere anche capi 100 per cento canapa”, commenta Pierluigi Fusco Girard.
La canapa non trova applicazione solo nel tessile, ma anche nell’alimentare e nell’industria cosmetica: “Sono tipi di canapa diversi, con semi diversi e appartenenti a famiglie diverse e, ad oggi, ancora non si è ancora riusciti ad utilizzare una stessa famiglia che vada bene sia per l’alimentare, che per il tessile, che per il farmaceutico. Si potrebbero mettere insieme alimentare e tessile, ma non quello cosmetico, che per gli agricoltori è il più interessante dal punto di visto remunerativo”.
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