Greenpeace negli Stati Uniti rischia il fallimento per un maxi risarcimento a una società fossile

Un tribunale condanna Greenpeace a pagare 660 milioni di dollari. L’accusa? Aver difeso ambiente e diritti dei popoli nativi dal mega-oleodotto Dakota Access Pipeline.

  • La sentenza di un tribunale del South Dakota ha condannato Greenpeace USA a risarcire l’azienda fossile Energy Transfer.
  • Greenpeace negli Stati Uniti potrebbe essere costretta a chiudere dopo oltre cinquant’anni di attivismo ambientale.

Una sentenza senza precedenti ha colpito Greenpeace negli Stati Uniti: un tribunale del North Dakota ha stabilito che l’organizzazione ambientalista dovrà versare 660 milioni di dollari di danni a Energy Transfer, colosso texano del settore petrolifero. La causa trae origine dalle proteste del 2016 e 2017 contro il Dakota Access Pipeline (DAPL), un oleodotto al centro di una lunga battaglia tra aziende energetiche, comunità indigene e attivisti ecologisti.

La giuria del tribunale di Mandan ha accolto le accuse della Energy Transfer, che ha imputato a Greenpeace la responsabilità di aver orchestrato una campagna di disinformazione e di aver danneggiato la reputazione dell’azienda. L’organizzazione, che aveva già segnalato il rischio di un tracollo finanziario in caso di condanna, ha annunciato che presenterà appello contro il verdetto, considerato da molti una minaccia alla libertà di espressione e alla difesa ambientale.

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La protesta di Greenpeace contro la sentenza © Stephanie Keith / Greenpeace

Greenpeace accusata di aver danneggiato l’immagine di Energy Transfer

Il Dakota Access Pipeline, infrastruttura che trasporta il petrolio estratto dalla formazione di Bakken (tra Montana e North Dakota) fino all’Illinois, è stato oggetto di forti opposizioni sin dalla sua progettazione. In particolare, la comunità sioux di Standing Rock e diversi gruppi ambientalisti avevano denunciato il rischio di contaminazione delle acque del fiume Missouri e la violazione di territori sacri per i nativi americani. Le proteste avevano attirato l’attenzione internazionale, con la partecipazione di migliaia di attivisti, personalità pubbliche e membri di altre tribù indigene.

Nonostante il percorso dell’oleodotto sia stato successivamente modificato, le tensioni non si sono placate. Scontri tra manifestanti e forze dell’ordine, arresti e danni materiali hanno segnato le mobilitazioni, portando le aziende coinvolte a intraprendere azioni legali contro gli oppositori.

Nel 2019, Energy Transfer ha intentato una causa contro Greenpeace, sostenendo che l’ong avesse deliberatamente diffuso informazioni false sul progetto, danneggiando così economicamente la compagnia. Le accuse, che includono violazione di proprietà privata, diffamazione e complotto, si sono tradotte in una delle condanne più pesanti mai inflitte a un’organizzazione ambientalista.

Le aziende trasformano i tribunali in strumenti repressivi

L’organizzazione ambientalista ha ribadito che il caso rappresenta un tentativo delle grandi aziende fossili di mettere a tacere i movimenti di dissenso attraverso cause legali infondate, note come Slapp (Strategic Lawsuits Against Public Participation). “È un attacco alla libertà di parola e alla sovranità indigena”, ha dichiarato Mads Christensen, direttore esecutivo di Greenpeace International. “Non ci faremo intimidire e continueremo la nostra battaglia legale fino alla vittoria”.

Questa causa, una delle più grandi mai intentate nell’ambito delle cosiddette Slapp, si inserisce in un più ampio contesto di regressione: “Stiamo assistendo al ritorno di un comportamento irresponsabile che ha alimentato la crisi climatica, rafforzato il razzismo ambientale e anteposto i profitti dei combustibili fossili alla salute pubblica e a un pianeta vivibile. L’amministrazione Trump ha smantellato per quattro anni le protezioni per l’aria pulita, l’acqua e la sovranità indigena, e ora i suoi alleati vogliono completare il lavoro mettendo a tacere le proteste. Non ci arrenderemo, non saremo messi a tacere”, conclude Christensen.

Nativi americani marciano con il cartellone "Defend the sacred" contro la costruzione dell'oleodotto Dakota access pipeline (DAPL) in Nord Dakota.
Nativi americani marciano contro la costruzione dell’oleodotto Dakota access pipeline (DAPL) in Nord Dakota. Foto by ROBYN BECK/AFP/Getty Images.

Da oltre sette anni, Greenpeace denuncia come queste cause legali siano parte di un attacco più ampio ai diritti garantiti dal Primo Emendamento. Attualmente, 16 stati americani, incluso il North Dakota, non dispongono di leggi anti-Slapp per proteggere gli attivisti.

Ma ancora non è detta l’ultima. A livello internazionale, Greenpeace International ha avviato a febbraio 2024 la prima azione legale basata sulla Direttiva anti-Slapp dell’Unione Europea, portando Energy Transfer in tribunale nei Paesi Bassi per recuperare i danni subiti dalle cause infondate intentate negli Stati Uniti. “Energy Transfer non ha ancora chiuso i conti con noi. Questa è solo l’inizio della nostra battaglia legale contro i suoi attacchi alla libertà di espressione e alla protesta pacifica”, ha dichiarato Kristin Casper, General Counsel di Greenpeace International. La prossima udienza è fissata per luglio nei Paesi Bassi.

 

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