Un’indagine mostra come l’industria della carne metta in campo strategie comunicative per nascondere il legame tra il proprio prodotto e la crisi climatica.
Quando si parla di carne in relazione alla sostenibilità e al clima, si parla spesso delle scelte che si possono fare a livello individuale: cosa compro e dove, cosa mangio e perché. E così via. In effetti, la strategia comunicativa delle grandi industrie, per decenni, è stata proprio quella di concentrare la responsabilità dell’inquinamento e dell’aumento di emissioni di gas serra sull’individuo, sulla persona. Nel caso dei prodotti da combustibili fossili, per esempio, l’obiettivo era distogliere l’attenzione dall’attività della produzione e delle industrie in modo tale che potessero scaricare la responsabilità e mantenere il proprio business as usual. Ma anche nel caso delle industrie di carne, il tema della responsabilità individuale è promosso continuamente – e non solo dalle industrie stesse.
L’impatto dell’industria della carne
Secondo un’analisi dei ricercatori dell’Università di Oxford, dell’Università di Stanford e dell’Università Statale di New York, tra il 2006 e il 2018 le piattaforme mediatiche negli Stati Uniti e nel Regno Unito hanno raramente riportato il legame tra il consumo di alimenti di origine animale e i cambiamenti climatici. Gli autori dello studio hanno osservato che quando i media hanno parlato dell’argomento, hanno dato molta più enfasi all’impatto delle scelte individuali dei consumatori che alla responsabilità delle grandi aziende della carne.
È chiaro che le scelte individuali sono importanti, anzi fondamentali. Ma concentrandosi solo sulla responsabilità individuale si rischia di ignorare completamente quella delle industrie. Secondo le stime più recenti circa il 14 per cento delle emissioni globali di gas serra proviene dalle industrie di carne e latticini. La produzione di carne è più che quadruplicata negli ultimi sessant’anni. Nonostante l’enorme crescita, le previsioni indicano che il mondo è ancora lontano dal raggiungere quello che viene detto “peak meat”, ovvero il livello massimo di produzione di carne. Le aziende lo sanno. Ed è in questo contesto che hanno intensificato i loro sforzi per commercializzare i propri prodotti come “sostenibili”.
L’industria della carne ha messo in campo diverse strategie per apparire sostenibile, secondo una recente indagine di DeSmog, piattaforma d’informazione indipendente che combatte il negazionismo climatico e la disinformazione. L’indagine si è concentrata soprattutto sulla comunicazione e il lobbying dell’industria della carne nell’arco di cinque mesi e ha esaminato centinaia di documenti e dichiarazioni delle aziende e delle associazioni industriali di categoria.
“Our strong belief, based on the science, is that livestock and animal source food benefits people and the planet,” says Hsin Huang from the International Meat Secretariat.
Check out Desmog's new investigation on the meat industry’s “climate-washing”.https://t.co/bS13gX0Hwb
L’indagine ha concluso che le strategie più utilizzate sono le seguenti:
sminuire l’impatto degli allevamenti sul clima;
mettere in dubbio l’efficacia delle alternative alla carne e i suoi sostituti;
promuovere i benefici della carne per la salute e al contempo trascurare l’impronta ambientale dell’industria;
esagerare il potenziale delle innovazioni agricole per ridurre l’impatto ecologico dell’industria dell’allevamento.
Le tattiche comunicative dell’industria, dal tabacco alla carne
Sempre secondo l’indagine, l’industria della carne segue un percorso già tracciato dalle aziende di combustibili fossili e, ancora prima, da quelle del tabacco. Queste aziende infatti hanno entrambe negato i rischi dei propri prodotti e nascosto il collegamento tra la propria attività e le conseguenze dannose sulla salute e sull’ambiente. “Come le industrie del tabacco e dei combustibili fossili prima di lei, l’industria della carne è impegnata in una battaglia di comunicazione”, sostiene DeSmog.
In particolare, l’indagine ha identificato una serie di tattiche che vengono impiegate in maniera più specifica dal settore della carne. I produttori hanno l’obiettivo di minimizzare – almeno all’apparenza – l’impatto dei loro prodotti. E per questo, spesso omettono alcune informazioni al pubblico. Per esempio, l’uso del suolo e il cambiamento di uso del suolo riguardano emissioni che ricadono, secondo la classificazione delle emissioni di gas a effetto serra, sotto il cosiddetto Scope 3, il terzo gruppo che comprende le emissioni indirette: nel caso dell’allevamento, il pascolo del bestiame e la coltivazione di colture per la produzione di mangimi.
Gli studi mostrano che queste attività rappresentano la maggior parte delle emissioni del settore eppure molte aziende di carne le escludono quando calcolano la propria impronta di CO2, sostiene DeSmog. Il risultato è che il calcolo delle emissioni di molte aziende non tiene conto dell’uso del suolo: un’omissione intenzionale che diminuisce significativamente la cifra totale delle emissioni, conclude l’indagine.
Un’altra tattica utilizzata, secondo DeSmog, è quella di presentare la carne come “soluzione” alla fame nel mondo. I maggiori produttori giustificano l’espansione dell’industria con il presupposto che “la carne è indispensabile per nutrire la crescente popolazione globale”. Molti esperti, tuttavia, contestano tale tesi e sottolineano la necessità di cambiare modalità nel rispetto del clima, degli ecosistemi e degli animali. Solo in Italia, per esempio, gli allevamenti stanno consumando il 39 per cento delle risorse naturali del territorio agricolo nazionale. Inoltre le Nazioni Unite sostengono che l’enfasi dovrebbe essere sul sostegno ai piccoli agricoltori, i cui mezzi di sussistenza potrebbero essere minacciati dall’espansione dei giganti della carne multinazionali.
Infine, un’altra tattica dell’industria della carne è quella di esagerare il potenziale di alcune innovazioni tecnologiche che dovrebbero rendere l’industria “sostenibile”. DeSmog sostiene che “l’industria della carne parla costantemente di innovazioni che, a suo dire, abbasseranno presto le emissioni del settore in modo drastico”.
Basta leggere l’indagine di DeSmog per comprendere che ci sono diversi punti di contatto tra le strategie dell’industria della carne e altre industrie inquinanti e dannose che sono venute prima di lei. Ma al contrario delle industrie fossili, che per decenni hanno negato l’esistenza del riscaldamento globale, e quelle di tabacco che per altrettanto tempo hanno negato i danni del fumo sulla salute, una ricerca della New York University evidenzia come il settore della carne ha cercato soprattutto di minimizzare il legame tra i suoi prodotti e il cambiamento climatico attraverso strategie di comunicazione mirate e lobbying politico.
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