Nato in Nigeria e giunto in Italia dopo aver conseguito una laurea negli Stati Uniti, Toni Iwobi è stato eletto parlamentare alle elezioni politiche del 4 marzo: è il primo senatore nero nella storia repubblicana.
Come sono andate le elezioni politiche 2018, i risultati
Un’Italia divisa in due quella uscita dalle elezioni del 4 marzo. Al nord domina la Lega, al sud il Movimento 5 stelle è dilagante. I risultati finali, però, non consentono a nessuna coalizione di governare. Cosa succede ora?
“Un terremoto elettorale”, “un cataclisma politico”, uno scenario che sembrava impossibile da ipotizzare, ma che in realtà sembra solo un nuovo capitolo della saga politica che sta attraversando le democrazie occidentali negli ultimi anni. Dagli Stati Uniti di Trump alla Brexit, dalla Francia che ha rischiato di avere una presidente “nera” per arrivare fino a noi. I risultati che ormai si stanno delineando in modo abbastanza netto vedono due partiti – che rappresentano una rottura evidente rispetto al sistema politico italiano fin qui conosciuto – raggiungere voti e percentuali forse non immaginabili nemmeno dai diretti interessati.
Stiamo parlando del Movimento 5 stelle (M5s), che si afferma di gran lunga il primo partito dell’arco parlamentare italiano con oltre il 30 per cento dei consensi grazie a un risultato incredibile nel Mezzogiorno dove in molte aree ha superato persino il 50 per cento, e della Lega (già Lega Nord) che sfonda in tutta Italia raggiungendo il 18 per cento – rispetto al 4 per cento delle elezioni politiche di cinque anni fa – e diventando primo partito della coalizione di centrodestra. Al contrario perdono anche nelle loro roccaforti sia Forza Italia (Fi), a discapito proprio dell’alleato leghista nelle regioni del nord, che il Partito democratico (Pd) che non è riuscito a tenere nemmeno nelle regioni “rosse” del centro.
Fonte: Ministero dell’Interno – Sezioni scrutinate: 59.075/61.401La ripartizione dei seggi alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica
Tutto questo significa, tradotto in seggi, che il M5s conquista 221 seggi su 630 alla Camera dei deputati, seguito da Lega con 73 seggi e dal Pd con 86. Poi Fi e Fratelli d’Italia che fanno parte della coalizione con la Lega che conquistano rispettivamente 59 e 19 seggi. Situazione leggermente diversa al Senato dove al Pd spettano 43 senatori su 315, segue Fi con 33. Il M5s ottiene 112 seggi, la Lega 37.
L’affluenza finale al 73 per cento
Questi risultati straordinari, frutto di un’affluenza al 73 per cento, non consentono comunque a nessuno di governare visto che la coalizione di centrodestra non supera in nessuna delle due camere la soglia magica del 40 per cento per pochi punti percentuali.
Le dichiarazioni e le prossime mosse dei leader politici
Le dichiarazioni dei leader sono arrivate alla spicciolata nel corso della giornata. L’ormai ex ministro dell’Agricoltura Maurizio Martina aveva anticipato il segretario Matteo Renzi affermando che “è chiaro che per noi si tratta di una sconfitta netta. Le valutazioni più compiute alla luce dei dati definitivi le farà il segretario Matteo Renzi in giornata. Per noi questo risultato è chiaramente negativo”.
Matteo Renzi lascia la guida del Partito democratico che farà opposizione
In ritardo rispetto a quanto previsto, erano ormai le 18 passate quando il segretario del Pd Matteo Renzi si è presentato davanti alla stampa, a Roma. “Oggi l’Italia ha una situazione politica in cui chi ha vinto non ha i numeri per governare. Una situazione che nasce dalla vicenda referendaria di un anno e mezzo fa”, sottolinea Renzi. “Oggi, chi si è opposto a quelle riforme, è rimasto vittima di quella scelta”. E rilancia: “In questa campagna elettorale segnata dalle bugie, ce n’è una più grande delle altre, cioè che chi ha vinto diceva che non avrebbe mai fatto accordi. Questo non è possibile”.
Per annunciare le sue dimissioni dalla guida del Pd, Renzi parte da un aneddoto: “A Pesaro il centrosinistra ha candidato un ministro che ha fatto un lavoro straordinario – quello dell’Interno, Marco Minniti – riconosciuto anche dagli avversari. Invece, il candidato definito ‘impresentabile’ dallo stesso M5s, ha avuto la meglio contro ogni valutazione di merito. Questo è il simbolo di questa campagna elettorale. È evidente che su queste indicazioni io debba lasciare la guida del Partito democratico e lasciare spazio a una nuova assemblea. A un congresso serio e definitivo che permetta alla leadership di fare ciò per cui è stato scelta tramite le primarie”.
Renzi continua ribandendo come “in campagna elettorale abbiamo detto no a un governo con e degli estremisti e su questo non abbiamo cambiato idea. Quando abbiamo detto no alla cultura dell’odio non stavamo scherzando. Ci separano da Di Maio e Salvini l’odio verbale e l’antieuropeismo quindi potete fare il governo senza di noi. Il nostro posto in questa legislatura è all’opposizione come ci hanno chiesto i cittadini italiani. Il Pd non diventerà la stampella di un governo antisistema. Saremo responsabili e la nostra responsabilità risiede nello stare all’opposizione”.
Per Di Maio comincia oggi la terza repubblica
Di segno opposto le dichiarazioni di Alfonso Bonafede, candidato ministro alla Giustizia del Movimento 5 stelle che ha definito il M5s come “il pilastro della prossima legislatura”. Mentre Alessandro Di Battista, sempre del Movimento, ha parlato di una “apoteosi che conferma che tutti quanti dovranno venire a parlare con noi”. Entusiasta anche il leader Luigi Di Maio, che durante una conferenza stampa ha dichiarato: “Per il Movimento 5 stelle queste elezioni politiche sono state un trionfo: siamo una forza politica che rappresenta l’intera nazione. È un risultato che va al di là degli schemi tradizionali. Siamo aperti al confronto con tutte le forze politiche: oggi per noi inizia la terza repubblica, e la terza sarà finalmente la repubblica dei cittadini italiani”.
Salvini vuole governare con un programma di centrodestra
Matteo Salvini della Lega ha twittato poco dopo la chiusura dei seggi un “grazie” agli elettori. La mattina del 5 marzo ha tenuto una conferenza stampa in cui ha aggiunto: “È una vittoria straordinaria che ci carica di orgoglio, di gioia e di responsabilità perché milioni di italiani ci hanno chiesto di riprendere per mano questo paese, di liberarlo dalla precarietà e dall’insicurezza”. E ha chiarito che “il governo tocca a noi: la Lega ha vinto all’interno della coalizione e rimarrà alla guida del centrodestra”.
La mia prima parola: GRAZIE! pic.twitter.com/DRXiWVAHQp
— Matteo Salvini (@matteosalvinimi) 4 marzo 2018
Il ruolo decisivo del presidente della Repubblica
Ora la palla passa al presidente della Repubblica Sergio Mattarella che, mai come in questo caso, ha tra le mani un potere tutt’altro che simbolico dovendo scegliere a chi assegnare l’incarico per cercare di dar forma a un governo di larghe intese in grado di ottenere la fiducia in Parlamento. Come dichiarato anche dal sondaggista Renato Mannheimer “la possibilità di una grande coalizione come in Germania – dopo trattative infinite tra i partiti – potrebbe effettivamente realizzarsi”, tutto questo significa “lunghe trattative e un intervento decisivo” del presidente Mattarella.
Quindi cosa può succedere adesso?
Ora in teoria il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, dopo le consultazioni di rito al Quirinale, potrebbe assegnare l’incarico al leader della coalizione che ha “vinto”, o meglio è arrivata prima alle elezioni del 4 marzo. Quindi il leader del centrodestra. Il centrodestra, però, non ha espresso alcun candidato premier durante la campagna elettorale, forse proprio perché vi era molta incertezza su quale sarebbe stato il primo partito della coalizione, che si è rivelato essere poi la Lega. Dunque Salvini potrebbe essere il politico chiamato da Mattarella per essere consultato sulla possibilità di creare una maggioranza parlamentare in grado di votare la fiducia a un governo guidato da lui o da un esponente da lui proposto.
Nel caso Salvini non riuscisse in questa “impresa”, visto che non sono molti i partiti a cui il centrodestra unito (che vanta 267 deputati sui 316 necessari) può chiedere di entrare a far parte di una coalizione – sia il Movimento 5 stelle (con 228 deputati) che il Partito democratico (109) hanno espresso chiaramente la loro contrarietà allo stile e alla sostanza del programma della Lega, definito un partito “razzista” e “antieuropeista” – Mattarella dovrebbe rivolgersi a Luigi Di Maio, primo partito dell’arco parlamentare, per chiedergli di formare un governo. A questo punto, Di Maio dovrebbe capire a chi rivolgersi e con chi fare un compromesso. Il Pd o, di nuovo, la Lega ma senza Forza Italia e gli altri partiti della coalizione? In questo caso sarebbe Di Maio e non più il centrodestra forte e unito a guidare la partita. In entrambi i casi la maggioranza sarebbe solida, almeno dal punto di vista dei numeri. L’ultima ipotesi, già ventilata in campagna elettorale, è che si torni alle urne. Ma questa è un’altra storia.
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