Come funzionano le comunità energetiche rinnovabili

Via libera alle comunità energetiche rinnovabili anche in Italia. Associazioni di cittadini e imprese ora possono produrre e consumare la propria energia.

Era il tassello che mancava. Soprattutto in un periodo storico nel quale la crescita delle rinnovabili in Italia, fotovoltaico in primis, ha conosciuto un forte rallentamento. Con la conversione in legge del decreto Milleproroghe, si è infatti dato il via libera alla formazione delle cosiddette comunità energetiche rinnovabili, ovvero alla possibilità per cittadini, associazioni ed imprese commerciali, di installare impianti per la produzione di energia da fonte rinnovabile e di autoconsumarla.

comunità energetiche rinnovabili
È l’energia solare a dare i risultati migliori: più della metà degli investimenti sono stati assorbiti da questo settore © Sean Gallup/Staff

Comunità energetiche, la normativa

“Le comunità energetiche nascono dalla direttiva Red II (2018/2001/Ue) e sono uno strumento per la condivisione dell’energia tra i cittadini”, spiega a LifeGate Emilio Sani, consigliere dell’associazione Italia Solare. “Si tratta di un concetto che ha valenze sia sociali che tecniche. A livello sociale infatti le comunità energetiche possono creare sviluppo e aggregazione a livello locale. Mentre o benefici tecnici sono dati perché nel momento in cui le persone a livello locale producono e consumano la propria energia, li si spinge ad essere virtuosi nei consumi”.

Finora gli esempi più importanti in Europa si trovano in Danimarca o in Germania, mentre nel nostro paese si sta iniziando ora a sperimentare le prime comunità energetiche, in attesa della delibera di Arera e di un decreto attuativo del Mise.

La definizione di comunità energetiche rinnovabili

La definizione di comunità energetiche prevede siano installati impianti a rinnovabili con una potenza complessiva inferiore a 200 kW, e che l’energia prodotta sia consumata “sul posto”, oppure toccata in sistemi di accumulo. L’impianto deve essere connesso alla rete elettrica a bassa tensione, attraverso la stessa cabina di trasformazione a media/bassa tensione da cui la comunità energetica preleva anche l’energia di rete.

“La linea di bassa tensione in cui si allaccia l’impianto di produzione è l’area geografica della comunità”, spiega Sani. “Questa si riferisce ad impianti piccoli e tecnicamente si rivolge agli impianti sui condomini, sulle attività commerciali”. I vantaggi saranno doppi: da una parte si potrà beneficiare della detrazione fiscale, dall’altra si avrà un incentivo sull’energia immessa nella rete elettrica, che verrà definito dal Gestore dei servizi energetici (Gse). “In questo caso c’è anche una componente di risparmio fisico sugli oneri di sistema, che vengono restituiti alla comunità”.

Il primo passo è quello di individuare la rete di bassa tensione dove si è allacciati, e trovare lo spazio fisico dove installare l’impianto, che può andare dal tetto di un condominio ad un parcheggio o un’area degradata da recuperare. “A quel punto il cittadino può preparare lo statuto di quella che sarà la comunità, in forma di associazione o cooperativa, che dovrà comunque rimanere aperta alle nuove adesioni”, continua Sani. “A quel punto si raccolgono le adesioni dei cittadini che sono all’interno dell’area individuata e trovare il soggetto che installerà l’impianto con la detrazione fiscale”.

Secondo Legambiente, che insieme a Italia Solare ha profondamente spinto per arrivare a questa piccola rivoluzione energetica, la crescita dell’energia rinnovabile in Italia continua ad essere troppo lenta: una media di installazioni all’anno dal 2015 ad oggi di appena 459 MW di solare e 390 di eolico. “Continuando così – scrive l’associazione – gli obiettivi fissati al 2030 dal Piano energia e clima (Pniec) verrebbero raggiunti con 20 anni di ritardo”.

Il 2019 ha visto infatti una crescita di soli 272 MW rispetto all’anno precedente e 112 MW in meno di eolico. Rispettivamente solare fotovoltaico ed eolico, nel 2019, hanno soddisfatto il 7,6 per cento e il 6,2 per cento dei consumi elettrici nazionali. Ancora troppo poco.

La fase transitoria

Ora di fatto i “prosumer” sono riconosciute giuridicamente e sarà possibile produrre, scambiare e consumare la propria energia, cosa fino a qualche tempo fa vietata. “Questa è una potenziale rivoluzione perché può scardinare quel rapproto di dipendenza dai grandi produttori di energia”, spiega Dario Tamburrano, ex europarlamentare. “Il concetto dei prosumers è il fulcro della transizione energetica che ha anche un valore sociale: produrre e scambiare energia ha infatti un valore a livello sociale che può ravvivare intere piccole comunità”.

“L’attuativo di Arera e del Mise sono pronti, e stiamo dialogando attivamente per far partire le comunità energetiche”, spiega Gianni Girotto, presidente della Commissione permanente dell’Industria in Senato, intervenuto ad Ecofuturo. “Ora col combinato con il bonus al 110 per cento ne potranno nascere veramente molte”. Per questo motivo l’approvazione della direttiva europea potrebbe finalmente colmare quel vuoto legislativo che bloccava, di fatto, lo sviluppo delle fonti rinnovabili nei condomini, nei distretti produttivi o nei territori agricoli. E creare piccole comunità in grado di autoprodursi l’energia, rigorosamente da fonti rinnovabili.

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