La concentrazione di biossido di carbonio (CO2) nell’atmosfera ha raggiunto un nuovo record, superando le 420 parti per milione (ppm). A riferirlo è l’osservatorio di Mauna Loa, alle Hawaii, che da decenni monitora i dati a livello mondiale. Si tratta di un dato estremamente preoccupante, anche perché la concentrazione è ora pari a una volta e mezzo rispetto a quella che era presente nell’atmosfera terrestre nel periodo pre-industriale.
421,21 ppm di CO2 nell’atmosfera: un record assoluto
La stazione di Mauna Loa ha effettuato le prime misurazioni negli anni Cinquanta. All’epoca, i dati erano attorno a 315 ppm. Ora si è toccato un valore pari a 421,21: un record assoluto. Un secolo e mezzo fa, si era invece attorno alle 278 parti per milione “È certo che questa concentrazione di biossido di carbonio sia la causa del riscaldamento globale”, ha spiegato Kate Marvel, climatologa della Nasa, parlando al Washington Post.
Le concentrazioni di CO2 hanno toccato un nuovo record. 421.21 ppm. Mai così alte in MILIONI di anni.
State assassinando il nostro futuro.
— Fridays For Future Italia (@fffitalia) April 7, 2021
“Essere a metà strada rispetto al raddoppio del dato pre-industriale ci dà la misura di quanto gli esseri umani abbiano già alterato la composizione dell’atmosfera”, ha commentato il Met Office inglese. Le emissioni di CO2 sono provocate infatti, in larga parte, dalla combustione di fonti fossili, per la produzione di energia elettrica, per i trasporti e per i processi industriali. Circa la metà del gas emesso rimane nell’atmosfera e provoca il cosiddetto effetto serra. Un quarto, invece, viene assorbito dagli oceani, che però in questo modo si acidificano sempre di più, provocando la distruzione di ecosistemi e la scomparsa di numero specie viventi.
La CO2 nell’atmosfera intensifica il riscaldamento globale
Secondo le previsioni degli scienziati, in assenza di azioni drastiche e immediate da parte della comunità internazionale, il raddoppio della concentrazione di CO2 arriverà probabilmente attorno al 2060. Al contempo, si prevede un aumento della temperatura media globale, sulla superficie degli oceani e delle terre emerse, che potrà andare da 2,3 a 4,5 gradi centigradi. Valori lontanissimi da quelli fissati dall’Accordo di Parigi del 2015: limitare il riscaldamento globale ad un massimo di 2 gradi, ma rimanendo il più possibile vicini agli 1,5 gradi.
Ciò nonostante, il mondo continua ad incrementare la quantità di gas ad effetto serra dispersa ogni anno. Nonostante la crisi (e il calo della CO2) provocata dalla pandemia di coronavirus, infatti, le emissioni sono già tornate quasi ai livelli del 2019. Le misure effettuate nei carotaggi raccolti nella calotta glaciale ci indicano inoltre che mai la concentrazione di CO2 era stata così alta negli ultimi 800mila anni.
Preoccupano anche metano e protossido d’azoto
Al biossido di carbonio si aggiunge poi il metano, gas che resta meno a lungo nell’atmosfera ma che risulta 25-30 volte più potente rispetto alla CO2. Le emissioni sono in questo caso dipese soprattutto dagli allevamenti. Allo stesso modo, il protossido d’azoto, legato ai processi agro-industriali, risulta in continua crescita. Esso, secondo l’Environmental Protection Agency americana, presenta un potenziale di riscaldamento climatico pari a 310, e rappresenta oggi quasi il 7% delle emissioni totali di gas ad effetto serra.
Tutto ciò, secondo l’Organizzazione meteorologica mondiale, potrebbe portarci a superare gli 1,5 gradi (il primo dei due obiettivi dall’Accordo di Parigi) già nel 2024. Per evitarlo, la strada è semplice: occorre invertire la rotta e abbattere le emissioni del 6 per cento all’anno. Ogni anno.
Ci sono imprese che si sono attivate per abbattere le proprie emissioni, ma preferiscono non comunicarlo. Un fenomeno che prende il nome di greenhushing.
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