Da dove viene il conflitto del Nagorno Karabakh e perché se ne parla ancora

Gli scontri in Nagorno Karabakh degli ultimi giorni sono la punta dell’iceberg di una storia di tensione che ha origine nell’Ottocento.

Si torna a parlare di Nagorno Karabakh, il territorio conteso da Azerbaijan e Armenia. È successo in questi giorni, dopo che si sono registrati alcuni combattimenti tra le forze di Baku e quelle armene, che hanno causato una trentina di morti. Quella che può sembrare un’escalation improvvisa di violenza è in realtà l’ennesimo capitolo di una guerra che dura da oltre trent’anni e che ha origini ancora più lontane. In Nagorno Karabakh non ci si ricorda più cosa sia la pace, paralizzati in un perenne stato di tensione che a volte esplode, altre ribolle silente in attesa di una nuova scintilla.

Tutto nasce negli anni Ottanta, anzi prima

Già nel nome Nagorno Karabakh si mescolano influenze contrastanti. Nagorno significa montagna ed è una parola che viene dal russo, quella stessa Russia che oggi sostiene la causa degli armeni nella regione. Karabakh è invece una parola di origine turca che significa giardino nero, con la Turchia che oggi appoggia l’azione dell’Azerbaijan e definisce l’Armenia come la causa dell’instabilità del Caucaso.

La mappa del Nagorno Karabakh
La mappa del Nagorno Karabakh © Achemish/Wikimedia

Nell’Ottocento, la regione si trovava sotto il dominio degli zar russi. È in questa fase che molti armeni lasciarono l’Anatolia per andare ad abitare le zone più prossime all’odierno Azerbaijan, spinti dai russi che volevano si andasse a insediare il predominio ottomano nell’area. Fu così che già due secoli fa azeri e armeni si ritrovarono in una sorta di convivenza forzata, che di fatto non portò grandi problemi.

Con la rivoluzione bolscevica, i russi persero la loro influenza sul territorio e il Nagorno Karabakh entrò a far parte nel 1918 della Repubblica federale democratica transcaucasica. In questo periodo si verificarono i primi scontri interetnici, con il territorio a maggioranza cristiana armena che veniva rivendicato tanto dall’Armenia quanto dall’Azerbaijan musulmano. Due anni dopo, la neonata Unione Sovietica riprese il controllo dell’area, annettendola a sé. Il Nagorno Karabakh rimase parte del territorio dell’Azerbaijan, con Josip Stalin che era solito includere minoranze etniche nelle repubbliche sovietiche per evitare si formassero identità nazionali troppo marcate. L’Armenia non accettò di buon grado questa soluzione e nel corso del Novecento il malcontento rimase alto, per quanto poco visibile. Fu alla fine degli anni Ottanta che la tensione iniziò a salire per davvero. Il controllo azero sulla regione non era più tollerato dagli armeni, che cominciarono a organizzarsi per cambiare lo stato delle cose. Era il preludio di un periodo molto difficile per la regione.

La sanguinosa fine del Novecento

Nel 1988 il soviet del Nagorno Karabakh chiese all’Unione Sovietica il riconoscimento del controllo armeno sul territorio. Il soviet supremo si oppose e questo provocò vaste manifestazioni della maggioranza armena in territorio azero, che in molto casi sfociarono in violenze. Fu in queste fasi che vide la luce il primo vero movimento secessionista locale, il Comitato Karabakh.

Con la caduta del muro di Berlino e la fine dell’Unione Sovietica (Urss), il Nagorno Karabakh tornò sotto il controllo dell’Azerbaijan, intanto dichiaratosi indipendente da Mosca. Nel 1991 il Consiglio nazionale del Karabakh dichiarò la nascita della Repubblica del Nagorno Karabakh (Nkr), dopo un referendum mai riconosciuto dalla comunità internazionale. È qui che esplosero definitivamente le violenze. La guerra andò avanti per diversi anni, con massacri a opera di entrambe le forze – tra i più importanti si ricordano quello di Khojaly e di Sumgait. Le statistiche parlano di un totale di 30mila morti, ma il dramma fu anche nelle migrazioni forzate. I profughi furono oltre un milione: c’erano gli azeri musulmani che fuggivano dai territorio del Nagorno Karabakh e dalle altre province conquistate dalle forze armene; c’erano gli armeni cristiani che fuggivano dai territorio a controllo azero, in quanto vittime di persecuzioni e rappresaglie. Alla fine delle violenze, la popolazione armena era arrivata a rappresentare il 95 per cento del Nagorno Karabakh.

La pace fittizia del 1994

Il 12 maggio 1994 i due stati misero le armi nel cassetto. L’accordo di Bishkek fu il frutto della mediazione russa e da una parte impose il cessate il fuoco a tempo indeterminato, dall’altra fece alcune concessioni alla causa armena, a livello territoriale e politico. Si trattava di una soluzione temporanea, che richiedeva nuove negoziazioni e soluzioni, affidate al gruppo di Minsk, nato nel 1992 e composto da 11 stati oltre ai due belligeranti.

Il ruolo del gruppo di Minsk, di cui fa parte anche l’Italia, è stato in questi anni quello di mediare tra Armenia e Azerbaijan riguardo alla disputa mai sopita del Nagorno Karabakh. Entrambi gli stati non vedono però di buon occhio quel consesso internazionale: gli azeri lo ritengono troppo sbilanciato a favore della causa armena, l’Armenia contesta invece il fatto che al suo interno non sia mai stato accettato un membro del governo dell’autoproclamata Repubblica del Nagorno Karabakh. È anche per questo che a quasi trent’anni dalla sua nascita, il gruppo di Minsk non è mai riuscito a portare i due stati belligeranti a un accordo di pace definitivo.

Perchè oggi proseguono gli scontri

Ogni tanto nel Nagorno Karabakh si torna a sparare. I primi anni Duemila hanno visto la stipula di diversi trattati di cooperazione tra Armenia e Azerbaijan, con piccole porzioni di territorio trasferite al controllo dell’uno o dell’altro. Ma le violazioni del cessate il fuoco sono state comunque frequenti, a testimonianza della fragilità dell’accordo di Bushek.

Nel 2012 alcuni scontri sul confine hanno causato perdite all’interno dei due eserciti. Nel 2016 tre giorni di violenti combattimenti si sono conclusi con un centinaio di morti tra soldati azeri e armeni, mentre negli anni successivi numerose sono state le azioni di forza in Nagorno Karabakh. Gli scontri di questi giorni non sono allora una novità, ma la triste consuetudine in un territorio dove la tensione sembra essere tornata a salire da tempo.

Liniziativa degli scontri sembra venire dall’Azerbaijan e questo non è un caso. Come ha sottolineato il giornalista Gwynne Dyer sul settimanale Internazionale, il Nagorno Karabakh è sì un territorio azero, ma è da decenni totalmente sotto il controllo armeno, che dunque ha poco interesse a lanciarsi in una guerra contro uno stato più forte e più ricco (grazie al petrolio soprattutto). Inoltre, a Baku il malcontento verso il presidente-dittatore Ilham Aliyev è in crescita. Una guerra in Nagorno Karabakh, volto alla ripresa del controllo su di esso, può stimolare il nazionalismo dei suoi cittadini e gettare nuova luce sulla sua presidenza.

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