Sono sempre di più gli italiani che usufruiscono del congedo di paternità e del congedo parentale.
Si tratta di strumenti che aiutano a conciliare lavoro e famiglia, riequilibrando i ruoli.
Aumenta però anche il numero di padri costretti a lasciare il lavoro per prendersi cura dei figli.
Il lavoro di cura della famiglia, in Italia, è ancora prevalentemente femminile. Questo è un fatto, fotografato da tutte le indagini statistiche e figlio del nostro retaggio culturale. Ma iniziano a emergere segnali di cambiamento tutt’altro che banali. L’organizzazione non governativa Save the children, analizzando i dati dell’Istituto nazionale della previdenza sociale (Inps) e dell’Ispettorato del lavoro, fa sapere che sono sempre di più i padri che usufruiscono di due preziosi strumenti a loro disposizione, il congedo di paternità e il congedo parentale.
Quanti italiani usufruiscono del congedo di paternità
Il congedo di paternità in Italia è un diritto molto recente. È stato introdotto nel 2012 e all’epoca prevedeva soltanto un giorno obbligatorio, più due facoltativi, per prendersi cura del proprio figlio appena nato. L’anno successivo ne hanno usufruito meno di due neopapà su dieci (per la precisione, il 19,23 per cento).
Da allora la sua durata è stata estesa, fino agli attuali dieci giorni obbligatori più uno facoltativo. E l’adesione è aumentata di 38 punti percentuali, raggiungendo il 57,6 per cento nel 2021: si tratta quindi di 155.845 padri su circa 400mila nuovi nati. E sarebbe di sicuro ancora più alta, se esistesse un congedo di paternità anche per i lavoratori autonomi e parasubordinati. Ad oggi, però, a usufruire del congedo di paternità sono soprattutto coloro che vivono al nord (la differenza con il sud è di circa 17 punti percentuali), che lavorano per imprese più grandi, con contratti a tempo pieno e a tempo indeterminato.
Esiste poi un altro strumento, il congedo parentale facoltativo con una retribuzione ridotta. Anche in questo caso Save the children fa sapere che le percentuali di adesione tra i padri sono in crescita. Dati che inevitabilmente cambieranno anche alla luce delle novità introdotte nel 2022: oggi la coppia di genitori dipendenti ha diritto a 9 mesi complessivi al 30 per cento dello stipendio, di cui usufruire entro i 12 anni di via del figlio o della figlia (e non più entro i 6 anni come avveniva in precedenza).
Chiaramente, tutti questi diritti spettano soltanto a chi viene formalmente riconosciuto come genitore. Vietare la registrazione all’anagrafe del genitore non biologico, come ha deciso di fare il governo Meloni per le coppie omogenitoriali, significa anche privarlo dell’opportunità di trascorrere più tempo in famiglia.
Sono sempre di più i padri che rinunciano al lavoro
Il congedo, nelle sue varie forme, è pensato per riuscire a conciliare la carriera lavorativa con il ruolo di genitore. Ma ci sono casi in cui mantenere quest’equilibrio diventa impossibile. Stando ai dati del 2021 dell’Ispettorato del lavoro, 52.236 genitori si sono dimessi: per il 71,8 per cento donne e per il 28,2 per cento uomini. Soltanto dieci anni fa, le percentuali erano molto sbilanciate e gli uomini erano solo il 2,9 per cento.
Circa nella metà dei casi, indipendentemente dal genere, la motivazione con cui si giustifica la scelta di lasciare il lavoro è proprio la difficoltà a prendersi cura dei figli, sia per ragioni organizzative (come gli orari e la sede dell’azienda), sia per la carenza di servizi come gli asili nido. Anche in questo caso dunque si assiste a una maggiore parità tra uomini e donne, ma non c’è molto da festeggiare. Perché un dato del genere, sostiene Save the children, è “un indice dell’incapacità del sistema paese di sostenere la genitorialità attraverso politiche di rafforzamento dei servizi all’infanzia e un’organizzazione del lavoro maggiormente attenta all’equilibrio tra vita familiare e lavorativa”.
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