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Congo, sospesi finanziamenti europei a un progetto Wwf per maltrattamenti ai nativi
L’Ue ha riconosciuto i soprusi contro le popolazioni indigene e ha chiesto al Wwf di adottare misure che garantiscano il rispetto dei diritti umani.
Dal 2010 il Wwf sta cercando di istituire un parco nazionale nell’area di Messok Dja, nella Repubblica Democratica del Congo, antica foresta pluviale che ospita numerose specie a rischio estinzione ma anche popolazioni indigene. Nel 2016 l’organizzazione ambientalista ha ottenuto l’appoggio dell’Unione europea, che ha deciso di stanziare un milione di euro per finanziare la creazione dell’area protetta, purché il Wwf ottenesse il “consenso libero, preventivo e informato” delle popolazioni indigene.
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Tale consenso non è stato tuttavia ottenuto e, anzi, diverse indagini hanno rivelato un radicato sistema di abusi da parte delle squadre anti-bracconaggio sostenute e finanziate dal Wwf, ai danni degli indigeni Baka, tribù di pigmei cacciatori-raccoglitori che dipende dalla foresta per la propria sussistenza.
Guardie armate contro i nativi
In seguito alle denunce di Survival International, il movimento mondiale per i diritti dei popoli indigeni, nel 2018 il Programma di sviluppo delle Nazioni Unite (Undp) ha avviato un’indagine. Lo scorso febbraio il Guardian ha riferito i risultati preliminari dell’indagine, che ha confermato le violenze dei guardaparco, tra cui pestaggi, stupri, sfratti sommari dagli accampamenti nella foresta, distruzione di proprietà e confisca del cibo.
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L’Ue fa un passo indietro
L’Unione europea ha annunciato che, alla luce dei risultati delle indagini, a metà aprile ha sospeso i finanziamenti al progetto, almeno fino a quando il Wwf non sarà in grado di garantire il rispetto dei diritti umani dei nativi. L’Ue ha inoltre annunciato che effettuerà un approfondito controllo in tutti i parchi che finanzia nel bacino del Congo, per verificare che rispettino gli standard internazionali relativi ai diritti degli indigeni.
Una vittoria per i Baka
La decisione dell’Ue rappresenta una grande conquista per i Baka che, fin dal principio, si sono opposti al progetto, temendo di essere estromessi dalla loro foresta. “I Baka vivono in quella terra da tempo immemorabile – ha dichiarato Fiore Longo, responsabile della campagna di Survival #DecolonizeConservation -. Non hanno mai accettato di cedere nessuna parte del territorio al progetto del Wwf, ma per anni sono stati comunque esclusi dall’area. Siamo felici che l’Ue abbia finalmente riconosciuto le falle letali di questo terribile progetto. Ora devono cancellarlo completamente. Era il prodotto del peggior tipo di conservazione colonialista, che ruba la terra ai Baka e li sfratta da casa, per poi rendere miserabile la loro vita. Non si possono proteggere le foreste del bacino del Congo comportandosi come una potenza coloniale del XIX secolo, bensì solo lavorando insieme ai Baka e ascoltandoli davvero”.
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Un arcaico modello di conservazione
Il modello di conservazione perpetuato in Africa tende infatti ad escludere i nativi, come se non fossero in grado di preservare la ricchezza ambientale delle loro terre. Numerosi studi hanno invece dimostrato come i popoli indigeni siano i migliori custodi della biodiversità, dalla quale, dopotutto, dipendono. “In Africa alla popolazione locale è stato imposto per 100 anni un devastante modello di conservazione da parte di europei arroganti, convinti di sapere meglio di chiunque altro come prendersi cura del mondo naturale – ha affermato Fiore Longo -. È sempre stato sbagliato, ma solo ora, grazie alla pressione di un’intensa campagna pubblica, si sta cominciando a riconoscerlo e, si spera, ad affrontare il problema. Contiamo che questa decisione costituisca un precedente di riferimento per gli innumerevoli progetti simili imposti alle comunità locali dalle organizzazioni di conservazione occidentali”.
L’impegno del Wwf
Il Wwf, in un comunicato, ha affermato che collaborerà attivamente con l’Ue per risolvere la situazione. “Siamo consapevoli che il modo migliore per proteggere molti dei restanti ecosistemi minacciati del pianeta sia lavorare con le comunità che vivono lì”, ha affermato un portavoce dell’organizzazione ambientalista.
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