Anche se potrebbe non sembrare, fino a qualche anno fa raggiungere il lago di Braies non aveva i connotati dell’impresa eroica che ha oggi. Si partiva con tutta calma dal proprio albergo, felici di raggiungere uno dei luoghi più suggestivi dell’Alto Adige, si seguiva la Strada Statale 49 della Pusteria fino allo svincolo verso la valle di Braies e si proseguiva poi verso il lago, pronti a seguire il sentiero che lo affiancava. Cercare oggi di replicare questi ricordi è molto difficile: nel 2017 quotidianamente attraversavano la valle settemila automobili, nel 2018 più di 10mila, rendendo necessario apportare una serie di modifiche per tutelare un ambiente naturale piuttosto delicato.
Se una volta bastava un solo parcheggio, alberi e prati che anticipavano il lago sono stati distrutti negli anni per fare spazio ad altri posti macchina, senza però risolvere il problema di afflusso delle persone. Per questo motivo dalla metà di giugno alla metà di settembre i visitatori più pigri che arrivano dalle 10 in poi sono obbligati a lasciare i propri mezzi all’inizio della strada che porta al lago e usufruire di quelli pubblici, piuttosto che di biciclette o delle proprie gambe.
Il problema non è solo nelle terre alte
Chi si chiede dove sia spuntata tutta questa gente negli ultimi anni tende ad accusare la notorietà arrivata grazie alla fiction Rai “A un passo dal cielo” e in parallelo l’essere piuttosto fotogenico del posto che lo ha reso uno dei preferiti da raggiungere per gli utenti Instagram in cerca della foto perfetta. L’unica “pecca” è che la situazione che vive il lago di Braies si sta rapidamente replicando in gran parte delle terre alte, non solo quelle altoatesine ma di tutta Italia, ed è ulteriormente peggiorata durante questa estate ancora alle prese con la pandemia. Le mete lontane sono diventate irraggiungibili e finalmente abbiamo avuto il tempo di dedicarci a luoghi più vicini che non hanno mai sfigurato in termini di bellezza.
A luglio di quest’anno, Il Sole 24 Ore riportava che, secondo un’indagine sull’impatto dell’emergenza coronavirus realizzata da Isnart- Unioncamere, dei 24 milioni di italiani che si sarebbero mossi per le vacanze l’86 per cento sarebbe rimasto in Italia, mentre il 4,8 per cento – nel 2019 era il 26 per cento – si sarebbe avventurato all’estero.
Code, affollamenti e rifiuti
Ogni anno il tema dell’eccessivo afflusso di persone in montagna torna alla ribalta e anche quest’anno le immagini che circolavano in rete non hanno fatto attendere le prime reazioni. A raccoglierle è stato un articolo de “Il Dolomiti” che ritrovava in quegli scatti un luogo sempre più simile alle località di mare.
Alle cascate di Riva di Tures, in valle Aurina, centinaia di escursionisti sono in fila su un sentiero fatto per essere percorso con lentezza e meraviglia, pochi con la mascherina o mantenendo le distanze di sicurezza, così come in val di Rabbi, alla ferrata del monte Paterno davanti alle Tre Cime di Lavaredo, dove gli incolonnamenti per raggiungere la strada a pedaggio per il rifugio Auronzo sono oramai la norma, o ancora al lago di Sorapis dove non mancano ingenti quantità di rifiuti abbandonati. La lista è lunga e i lati negativi del turismo di prossimità stanno colpendo anche Lombardia, Piemonte e Abruzzo, Alpi e Appennini.
Il Corpo Nazionale Soccorso Alpino e Speleologico – CNSAS con questo post NON vuole colpevolizzare, vuole semplicemente…
A subire le conseguenze di questi numeri elevati, non sono solo gli ecosistemi sottoposti a grandi pressioni, ma anche il Soccorso alpino e speleologico, che ogni anno registra sempre più interventi (nel 2019 ne sono stati registrati ben 10.234, il sette per cento in più rispetto all’anno precedente). Ed è soprattutto ad agosto che i soccorritori fanno più fatica, tanto che recentemente la loro pagina Facebook ha pubblicato un post quasi esasperato, con alcune indicazioni da rispettare in tema di rifiuti, rispetto del silenzio, della sicurezza, del personale di soccorso che opera in montagna e soprattutto un appello al buon senso.
Infine l’ingrediente più importante: il buon senso che deve sempre accompagnare qualsiasi escursione in media e alta montagna.
I più fervidi appassionati di montagna sperano che questi avvenimenti ci insegnino qualcosa, che presto qualcuno appoggi la proposta avanzata dai più estremisti di introdurre un esame di idoneità e nei commenti sotto al post che vi abbiamo citato ce ne sono di tutti i gusti. Sì, la quantità di persone e i loro comportamenti suggeriscono la necessità di un cambiamento nell’approccio alle terre alte, ma prima di tutto di consapevolezza della situazione che abbiamo generato e stiamo alimentando.
Un approccio sbagliato
C’è stato un momento negli ultimi decenni in cui abbiamo capito che lo stesso sistema capitalistico che regnava in città poteva essere adattato anche alla montagna, ottenendo da essa profitti su profitti, ignorando il luogo, le sue esigenze, le sue tradizioni. Ci siamo rimboccati le maniche per prendere quella salutare distanza che divideva i due mondi e restringerla sempre di più, con il cemento, le infrastrutture, gli alberghi, le terrazze panoramiche, il marketing patinato.
Negli ultimi decenni abbiamo capito che lo stesso sistema capitalistico che regnava in città poteva essere adattato anche alla montagna, ignorando il luogo, le sue esigenze, le sue tradizioni
Abbiamo cominciato a comunicare un’immagine sbagliata di questi luoghi come se fossero al pari del parco cittadino e come trattiamo quest’ultimo abbiamo cominciato a trattare i primi.
Cosa abbiamo intenzione di fare?
Non vediamo gli ecosistemi che soffrono, gli eventi meteorologici che peggiorano, le stagioni che si assomigliano lì dove sono sempre state le une diverse dalle altre, vediamo piuttosto lo scatto perfetto per il riconoscimento su una piattaforma di social media, la nuova attività da lanciare dove una volta c’era un prato, una panchina in legno e il silenzio, un corpo senza limiti che crede di poter scalare una montagna in infradito. Abbiamo sbagliato le proporzioni, non siamo noi quelli giganti, sono quelle pareti di roccia, noi siamo quelli infinitamente piccoli, che prima o poi se ne andranno, mentre loro rimarranno lì. In questi mesi abbiamo riscoperto il rispetto per le generazioni più anziane decimate dalla pandemia, questi luoghi ne meritano altrettanto. Cosa abbiamo intenzione di fare?
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