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Secondo l’ultimo rapporto dell’Ispra, il consumo di suolo in Italia starebbe leggermente diminuendo. Ma c’è ancora tanto lavoro da fare.
L’Italia perde terreno. Non in senso metaforico rispetto a qualche altro paese europeo o straniero per questioni politiche, sociali o economiche. L’italia perde terreno letteralmente.
Lo certifica “Recuperiamo terreno – rapporto sul consumo di suolo 2015“, la ricerca che annualmente viene redatta dall’Ispra e che ci informa sulla percentuale dei terreni persi irrimediabilmente sulla Penisola.
Se non fossimo abituati, quasi assuefatti anno dopo anno a ricevere sempre la stessa cattiva notizia, i numeri dell’Ispra sarebbero da considerare agghiaccianti: abbiamo perso quasi il 20 per cento della fascia costiera del Paese – 500 km – pari all’intera costa della Sardegna; 34.000 ettari all’interno di aree protette se ne sono andati, così come il 9 per cento delle zone a pericolosità idraulica e il 5 per cento delle rive di fiumi e laghi; il cemento si è “mangiato” anche il 2 per cento di zone, come le montagne o le zone umide, considerate non consumabili.
Recuperiamo il suolo?
Il rapporto, che fa riferimento a dati relativi al 2014, è però abbastanza ottimista: lo scorso anno si è registrata, secondo l’istituto di ricerca, una perdita di terreno più lenta rispetto agli altri anni. La tendenza tra 2008 e 2013 sarebbe rappresentata da un decremento del consumo di suolo, ecco il motivo del titolo della ricerca 2015. Anche il valore pro-capite di metri quadrati persi sarebbe sceso: da 350 mq nel 2013 a 345 (complice anche il lieve aumento demografico) a 345 nel 2014. In ogni caso, molti di più di quelli stimati nel 1950 (167 metri quadri).
Nonostante le proiezioni ottimistiche, però, dobbiamo rilevare che il terreno impermeabilizzato dal cemento è il 158 per cento in più rispetto agli anni ’50, e che vi è la conferma della perdita totale del 60 per cento delle aree agricole (molte delle quali nell’area più fertile del Paese, la pianura padana), del 22 per cento delle aree urbane e del 19 per cento delle terre naturali.
Il motivo principale della perdita di suolo è la costruzione di strade, che rappresentano il 40 per cento del terreno consumato. Le aree in cui la perdita è più veloce sarebbero quelle periferice e “a bassa densità”. Le regioni in cui il cemento ha divorato più terreno sono Lombardia e Veneto. Va male anche la Liguria, che vede il 40 per cento del territorio entro i 300 metri dalla costa cementificato.
Il danno della cementificazione selvaggia riguarda anche l’effetto serra: L’Ispra ha calcolato la variazione dello stock di carbonio, rilevando che in 5 anni (tra 2008 e2013), ne sono state emesse 5 milioni di tonnellate, un rilascio pari allo 0,22 per cento dell’intero stock immagazzinato nel suolo e nella biomassa vegetale nel 2008.
C’è ancora tanto lavoro da fare per far “respirare” le nostre aree naturali: primo fra tutti, smettere di considerare il cemento uno dei primi motori del nostro Pil.
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