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Il rapporto dell’Ispra mostra neanche nel 2023 ci sono stati miglioramenti nella cura del territorio: si continua a cementificare a spron battuto.
Il cemento avanza e fa terra bruciata. Anche nel 2023, infatti, il consumo di suolo in Italia ha registrato un incremento significativo, consolidando una tendenza allarmante che, in mancanza di una legge, rischia di non fermarsi mai. Secondo il nuovo rapporto pubblicato da Ispra in vista della giornata del suolo, in un anno nel nostro Paesi sono stati persi oltre 72 chilometri quadrati di suolo naturale, equivalenti a circa 20 ettari al giorno, con una velocità di trasformazione che supera i due metri quadrati al secondo. Un ritmo che Ispra non solo definisce insostenibile ma che è anche pericolosissimo per la stessa sicurezza umana, perché il consumo di suolo mina gravemente le capacità del suolo stesso di fornire servizi ecosistemici essenziali: la regolazione idrologica, per esempio, la cattura di carbonio, e la mitigazione degli effetti climatici estremi.
Tutti gli edifici di Torino, Firenze e Bologna messi insieme: a tanto ammontano i 72 kmq di nuovo cemento colato nel 2023, a fronte di un ripristino di aree naturali di poco più di 8 kmq.
“Il monitoraggio di quest’anno conferma la criticità del consumo di suolo nelle zone periurbane e urbane, in cui si rileva un continuo e significativo incremento delle superfici artificiali, con un aumento della densità del costruito a scapito delle aree agricole e naturali”
Nuove costruzioni, cantieri, realizzazione di infrastrutture: queste secondo il rapporto Ispra sono le cause principali della crescita del consumo di suolo. Ma impatta anche la conversione di aree agricole e naturali in zone artificiali. Particolarmente impattanti sono le nuove infrastrutture per la logistica e gli impianti fotovoltaici a terra, che rappresentano una quota rilevante delle trasformazioni recenti. Questi interventi, sebbene a volte temporanei, portano spesso alla perdita di funzionalità ecosistemiche irreversibili. Il principale allarme lanciato dall’Ispra è che il terreno, anche a causa dei lunghi periodi di siccità interrotti da piogge fortissime e improvvise, starebbe perdendo la sua capacità di “effetto spugna”, ovvero di trattenere e assorbire l’acqua, evitando appunto il verificarsi di alluvioni.
Naturalmente il discorso non è univoco per tutto il territorio nazionale, anzi le differenze tra le diverse regioni italiane riguardo al consumo di suolo sono piuttosto marcate. La Lombardia è la regione con il più alto consumo percentuale di suolo (12,19 per cento), seguita da Veneto (11,86 per cento) e Campania (10,57 per cento). A livello provinciale, spicca la Provincia di Monza e Brianza, con il 41 per cento del territorio consumato. Alcuni Comuni mostrano incrementi particolarmente elevati: Uta, nella provincia metropolitana di Cagliari (105 ettari), Ravenna (89,1 ettari) e Roma (71,3 ettari) sono tra i più colpiti.
Uta, in particolare, è un nome che potrebbe risultare sconosciuto ai più, ma qui solamente all’inizio di novembre è stato bocciato il progetto per la realizzazione di una centrale fotovoltaica a terra con potenza superiore a 96 MWp, che avrebbe avuto un’estensione di oltre 220 ettari su un’area agricola densa di testimonianze archeologiche prevalentemente di epoca nuragica. In generale, nelle aree costiere e pianeggianti si concentra gran parte delle nuove artificializzazioni, in virtù della maggiore accessibilità e delle pressioni legate allo sviluppo urbano e infrastrutturale. Al contrario, in alcune aree marginali si osserva un progressivo abbandono dei territori, con frammentazione delle aree naturali: l’esatto contrario del consumo di suolo, ma con esiti ugualmente nefasti.
Le conseguenze del consumo di suolo, sottolinea Ispra, si manifestano con l’aumento del dissesto idrogeologico, la perdita di biodiversità e il peggioramento delle condizioni climatiche urbane, come il fenomeno delle isole di calore. Inoltre, l’artificializzazione riduce la capacità del territorio di contrastare la desertificazione e affrontare eventi estremi come inondazioni e siccità. Il rapporto sottolinea dunque ancora una volta l’urgenza di una legge nazionale sul consumo di suolo, che applichi i principi di rigenerazione urbana e rinaturalizzazione, in linea con gli obiettivi europei di consumo netto di suolo zero entro il 2050. Il documento evidenzia come gli strumenti attualmente disponibili siano insufficienti e disomogenei a livello territoriale, risultando spesso inefficaci nel frenare la crescita dell’artificializzazione.
A richiedere un netto cambio di rotta nelle politiche territoriali oggi è anche l’Associazione nazionale dei consorzi di gestione e tutela del territorio e acque irrigue (Anbi), che sottolinea il problema della cementificazione sempre più spinta anche in aree a pericolosità idraulica: fiumi interrati, costruzioni a ridossi di territori a rischio frane, quasi duemila ettari di territori a rischio medio o alto: secondo il presidente Massimo Gargano “non ci rendiamo conto del crescente rischio cui sono esposte porzioni di territorio di fronte all’estremizzazione degli eventi atmosferici. Ribadiamo quindi la richiesta di urgente approvazione della legge contro l’indiscriminato consumo di suolo, ferma da anni nei meandri parlamentari. Sarebbe una prima seria risposta ad un’emergenza per il sistema Paese”. In effetti, la proposta di legge sul consumo di suolo in Italia è colpevolmente ferma in Parlamento ormai dal 2016 senza che sia stato compiuto alcun passo in avanti. Per arrestare il consumo di suolo, Ispra propone un approccio integrato che preveda la promozione del riuso delle aree dismesse, la tutela del suolo agricolo e la valorizzazione delle aree naturali. Fondamentale, infine, sarà il coordinamento tra enti locali e nazionali per garantire interventi mirati e basati su dati aggiornati e accessibili, come quelli forniti dal Sistema Nazionale a rete per la Protezione dell’Ambiente (Snpa).
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