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Mangiare tanti zuccheri rende depressi, lo studio sui meccanismi biologici alla base della depressione
Gli zuccheri sono alla base di nuove ricerche che dimostrano come un loro consumo elevato alimenti l’insorgenza della depressione.
- L’eccesso di zucchero si associa a depressione: uno studio recente ne evidenzia i numeri.
- Le ipotesi sui meccanismi biologici sono molteplici, e tutte convergono verso l’azione depressogena dello zucchero.
- Molte patologie esacerbate da errori dietetici condividono gli stessi meccanismi, accomunando salute fisica e mentale.
Consumare troppi zuccheri può associarsi a un rischio più elevato di cadere in depressione. È quanto emerge da un lavoro pubblicato di recente sulla rivista scientifica Bmc Psychiatry.
Gli effetti deleteri per la salute, correlati all’eccessivo apporto di zuccheri semplici, sono senz’altro noti tra gli addetti ai lavori, costituendo un concreto e proficuo oggetto di ricerca.
Zuccheri e aumentato rischio di depressione: studio e risultati
Lo studio prende in esame più di 18mila soggetti adulti, a partire dai venti anni di età, coinvolti nell’indigine statunitense nota come National health and nutrition examination survey (Nhanes), negli anni 2011 – 2018. Dall’analisi dei dati relativi ai partecipanti, si evince che un incremento nel consumo di zuccheri, pari a una quantità di 100 g al giorno, sia in grado di correlarsi a una più elevata prevalenza di depressione, attestata sul 28 per cento. Una stima che arriva al 33 per cento per un consumo ancora maggiore, pari a circa 142 g al giorno.
Consumo di zuccheri e malattie, le ipotesi pregresse
Dalla carie dentale all’obesità. Dal diabete mellito alle problematiche cardiovascolari. Fino all’infiammazione cronica persistente, che si pone alla base di svariati processi patologici, compresi quelli autoimmuni e tumorali. Impostare la dieta giornaliera sul consumo di alimenti ricchi di zucchero non fa bene alla salute “tangibile” del corpo. Più controversi, fino a oggi, erano gli impatti sulla salute mentale. Poche ricerche, in effetti, hanno scrutato questo aspetto, conducendo talvolta a risultati inconsistenti. Una revisione della letteratura, risalente a qualche anno fa, evidenziava le varie ipotesi sulla natura depressogena degli zuccheri, esaminando l’azione di tali componenti su diversi processi metabolici, infiammatori e neurobiologici. Tra questi, alcuni appaiono potenzialmente correlati alla depressione, come si ipotizza per la disbiosi intestinale. Ma non solo.
Zucchero, microbiota intestinale e depressione
Interconnessioni piuttosto ampie vengono evidenziate tra sistema nervoso centrale e microbiota intestinale, inteso come l’insieme di microbi “buoni” che risiede nel nostro intestino. Recente, ma promettente, è l’esplorazione del suo ruolo nell’insorgenza dei disturbi psicologici. Diverse indagini su modelli animali mostrano come una dieta ricca di zuccheri possa alterare gli equilibri della flora intestinale. Una popolazione microbica in disequilibrio rende l’intestino più permeabile e favorisce i processi infiammatori: condizioni, queste, potenzialmente implicate nella fisiopatologia della depressione. A livello clinico, si evidenzia, tra i soggetti depressi, un microbiota sbilanciato verso batteri pro-infiammatori, oltre che una maggiore permeabilità intestinale. In modo importante, il miglioramento della depressione si associa a un intestino meno permeabile e meno infiammato.
L’impatto dell’infiammazione cronica di basso grado
Da alcune meta-analisi emerge una certa associazione tra depressione e infiammazione cronica. Un fenomeno, quest’ultimo, alquanto diverso dall’infiammazione “classica” con i suoi sintomi acuti, di dolore, arrossamento e gonfiore. Si tratta, al contrario, di una condizione persistente e impercettibile, nota come infiammazione cronica di basso grado, o sistemica. Un processo che agisce come una fiammella sempre accesa, in grado di compromettere, a lungo andare, diversi aspetti della nostra salute. Tra i fattori che nutrono questo meccanismo spicca il consumo importante di zuccheri semplici, mentre tra i segnali correlati compaiono, tra le altre cose, quelli tipici della depressione, come disturbi del sonno e affaticamento.
Lo stress ossidativo che rende depressi
L’accumulo dei famigerati radicali liberi si collega a un meccanismo tossico per cellule e tessuti: lo stress ossidativo. Tale condizione potrebbe associarsi fortemente alla depressione, tanto che sembra affievolirsi nel contesto di trattamenti farmacologici antidepressivi. La supplementazione antiossidante, d’altra parte, sembra opporsi ai sintomi della problematica in questione. Numerosi studi suggeriscono anche che il consumo di zuccheri possa indurre l’accumulo di radicali liberi, e dunque alimentare lo stress ossidativo. La conseguenza più intuibile è che troppo zucchero possa impattare sui fattori biologici alla base della depressione. Insieme all’infiammazione, lo stress ossidativo si configura come un mediatore degli effetti depressogeni dello zucchero.
Quando il cibo avvelena il corpo come la mente
Disbiosi, infiammazione cronica e stress ossidativo creano terreno fertile per numerosi risvolti patologici. Questi si manifestano a carico di svariati organi e tessuti, traducendosi in condizioni di varia natura (come problematiche cardiovascolari, autoimmuni, tumorali, ecc.). In modo importante, la salute mentale non esula da tali meccanismi, condividendo i complessi equilibri che caratterizzano la salute nel suo insieme. Ancora una volta, il cibo può nutrire come avvelenare, agendo da trigger di malattia.
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