In vista della sfida tra Kamala Harris e Donald Trump alle elezioni presidenziali Usa, ripercorriamo i grandi temi aperti in materia di clima.
Continua la lotta dell’uomo che voleva salvare il lago
Nonostante le persecuzioni l’attivista ambientale Wu Lihong continua a lottare per la protezione del lago cinese Tai, ancora in pessime condizioni nonostante le promesse del governo.
Una volta il lago era ricco di pesce e le sue acque dissetavano migliaia di persone. Oggi l’acqua ha un inquietante colore verde fluorescente, causato dai cianobatteri, noti anche come alghe azzurre, ed è ricoperto da una densa schiuma, rifiuti e pesci morti. È la storia del lago Tai, situato nel sud della Cina, il terzo lago più esteso del Paese. Il lago è circondato da quasi tremila industrie che hanno inondato il bacino con ingenti quantità di veleni e rifiuti devastando uno dei patrimoni ecologici cinesi.
Oltre due milioni di persone che vivono nelle zone circostanti hanno dovuto smettere di berne l’acqua, di usarla per cucinare o per lavarsi. Oltre quindici anni fa un uomo aveva denunciato questa catastrofe ambientale invitando le autorità ad intervenire. L’uomo è Wu Lihong, ex venditore in una delle aziende chimiche della zona fin quando non si è reso conto di cosa le fabbriche come quella per cui lavorava stavano facendo alle acque del lago Tai, lungo cui era cresciuto. Wu Lihong ha allora iniziato a raccogliere le prove che testimoniassero il crimine ambientale, ma il governo ha deciso di ignorarle.
Anzi, nel 2007 l’attivista è stato arrestato con l’accusa di frode ed estorsione nei confronti delle imprese inquinanti e condannato a tre anni di carcere. Oggi Wu Lihong è di nuovo libero ma la situazione del lago non è migliorata. “Se doveste cadere in quest’acqua dovreste strapparvi uno strato di pelle – ha dichiarato disgustato Wu Lihong. – Il governo sostiene che sta ripulendo il lago ma non è vero”. Il governo cinese ha in effetti investito fondi per bonificare il lago, ma non ha fatto nulla per risolvere la causa principale: centinaia di impianti chimici, fabbriche tessili e laboratori di ceramica continuano a scaricare i propri scarichi nocivi nei corsi d’acqua che alimentano il Tai.
“Sono stati compiuti alcuni progressi ma non abbiamo ancora raggiunto un punto di svolta – ha affermato Ma Jun, uno degli ambientalisti più attivi del Paese – per molte fabbriche è più conveniente pagare le sanzioni per aver violato le norme piuttosto che mettersi in regola”. Nonostante sia stato scarcerato Wu Lihong è ancora vittima di persecuzione da parte delle autorità per aver osato ribellarsi. Il suo cellulare è sotto controllo, gli è stato vietato di lasciare la provincia di Jiangsu e hanno perfino ostacolato i suoi sforzi per trovare un posto di lavoro. “Se non fosse per l’orto che coltivo di fronte a casa mia, probabilmente morirei di fame”, ha detto.
I funzionari di Jiangsu hanno detto che investiranno più di 14 miliardi di dollari per ripulire il lago e che affronteranno il problema delle alghe tossiche entro cinque anni. Il guardiano del lago però non sembra fiducioso. “Nonostante le promesse e i soldi spesi poco è cambiato in questi anni, i fondi finiscono per riempire le tasche dei funzionari locali”.
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