La cooperazione internazionale è la chiave per la pace e il progresso, ma gli aiuti dell’Italia sono in calo

Conflitti, clima, violazione dei diritti umani: davanti alle crisi globali la cooperazione internazionale diventa una necessità. Eppure, nel 2023 il contributo italiano alla cooperazione allo sviluppo è diminuito del 17%.

In un mondo sempre più interconnesso e dominato da gravi crisi umanitarie, economiche e ambientali l’unica risposta resta la cooperazione internazionale affinché tutti e tutte possano godere di pace e prosperità. Ma l’Italia va in una direzione contraria: secondo i dati Ocse, nel 2023 il contributo italiano alla cooperazione allo sviluppo si è ridotto del 17 per cento.

Conflitti armati, crisi climatica, violazioni sempre più crescenti dei diritti umani, queste sono solo alcune crisi che colpiscono in questo momento il mondo, ma la tensione è alta nell’intero Pianeta. Stiamo vivendo in un’epoca in cui la prosperità e la pace non sembrano più temi così scontati come forse noi europei abbiamo pensato fino a poco tempo fa. Un bagno nella realtà che sembra essere sempre più fragile.

 

Quello che stiamo vivendo è di fatto un quadro dominato da una fragilità multidimensionale che porta ogni area del mondo ad una maggiore esposizione al rischio e di conseguenza anche all’insufficiente capacità di risposta degli Stati, del sistema o delle comunità per gestire, assorbire e mitigare tali rischi. Per descrivere questa situazione nell’ultimo anno si utilizza un termine anglosassone: “polycrisis“.

Il termine, che tradotto in italiano significa “crisi multipla”, viene utilizzato per descrivere l’attuale scenario globale, caratterizzato da una serie di gravi crisi interconnesse, tra cui quella economica, climatica e politica. L’utilizzo di questo termine è diventato frequente sui giornali, seppur non privo di critiche. Lo si può trovare anche negli studi di scienziati politici, che lo hanno incluso tra le parole chiave dell’anno scorso. Celebri economisti lo hanno adottato e al World economic forum di Davos di quest’anno è stato uno degli argomenti più dibattuti.

In Italia, il termine “policrisi” ha avuto un successo più moderato, ma sta comunque guadagnando terreno. La sua storia è interessante: nato negli anni novanta, è stato recuperato alcuni anni fa dall’ex presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker. La sua vera fama, però, è arrivata con l’adozione da parte di uno degli storici dell’economia più noti al mondo, il britannico Adam Tooze. Tooze ha utilizzato il termine per interpretare la complessa situazione dell’economia globale, aggravata dalla crisi climatica, dalla guerra e da molteplici altre sfide.

Nonostante le critiche, il termine policrisi ben rappresenta la complessità e l’interconnessione delle sfide che il mondo si trova ad affrontare oggi. La sua diffusione evidenzia la crescente consapevolezza della necessità di un approccio globale e olistico per affrontare queste crisi, esattamente come fa l’Agenda 2030: un piano d’azione per le persone, il pianeta e la prosperità grazie al partenariato della cooperazione. Gli obiettivi (goals) fissati per lo sviluppo sostenibile, nell’Agenda 2030, hanno una validità globale, riguardano e coinvolgono tutti i Paesi e le componenti della società, dalle imprese private al settore pubblico, dalla società civile agli operatori dell’informazione e cultura. I 17 goals fanno riferimento ad un insieme di questioni importanti che prendono in considerazione in maniera equilibrata le tre dimensioni dello sviluppo sostenibile – economica, sociale ed ecologica – e mirano a porre fine alla povertà, a lottare contro l‘ineguaglianza, ad affrontare i cambiamenti climatici, a costruire società pacifiche che rispettino i diritti umani.

In un mondo dove s’intrecciano gli effetti di catastrofi naturali, violenze, strascichi della pandemia, povertà, flussi migratori, riequilibri geopolitici, la cooperazione internazionale ha un ruolo primario insostituibile.

La pandemia da coronavirus, con il suo tragico bilancio di morti e i lockdown, ha agito da detonatore per la grave crisi che ha colpito le economie globali. A ciò si aggiunge anche l‘invasione dell’Ucraina da parte della Russia di Vladimir Putin che ha ulteriormente esacerbato i problemi legati all’inflazione e ha contribuito ai blocchi commerciali. A questo scenario già complesso si sovrappone la crisi climatica, con la sua serie di complicazioni e problematiche e di recente la crisi umanitaria nella Striscia di Gaza. L’elenco potrebbe proseguire ancora a lungo.

In uno dei numeri della sua newsletter, Tooze ha elaborato uno schema della policrisi secondo la sua visione, che ci aiuta a capire l’estrema interconnessione e confusione che regna tra le diverse crisi.

Cooperazione internazionale
Lo schema di Tooze che mostra come le crisi odierne siano interconnesse © Adam Tooze / Newsletter

Tooze ammette che il mondo è sempre stato intrinsecamente complesso e non è certo la prima volta che diverse crisi si amplificano a vicenda. Tuttavia, secondo lui, “ciò che rende le crisi degli ultimi 15 anni così disorientanti è che non sembra più possibile individuare una singola causa e, di conseguenza, una singola soluzione”. Ancora negli anni ottanta del novecento, sostiene Tooze, era possibile immaginare che il “mercato” avrebbe risolto le crisi economiche, oppure incolpare il “neoliberismo” di tutti i mali del mondo, a seconda delle proprie convinzioni politiche. Oggi non è più così: le crisi non hanno un’origine univoca e, di conseguenza, non sembra esistere una soluzione unica.

Di fronte a questa policrisi, la cooperazione internazionale diventa l’unica risposta efficace per costruire un futuro più sicuro e prospero per tutti. La storia ci insegna che la cooperazione internazionale è la chiave per la pace e il progresso. Le Nazioni unite, fondate dopo la seconda guerra mondiale, sono un esempio lampante di come la collaborazione tra nazioni possa prevenire i conflitti e promuovere lo sviluppo sostenibile e la tutela dei diritti umani. Grazie alla cooperazione internazionale, sono stati fatti passi avanti significativi nella lotta alla povertà, alla fame e alle malattie, sono stati sottoscritti accordi internazionali per proteggere l’ambiente e combattere il cambiamento climatico e non ultimo la cooperazione ha permesso di affrontare crisi globali come la pandemia di Covid-19.

In un mondo sempre più interconnesso, il destino di ogni nazione è legato a quello delle altre, anche se questo approccio non sembra essere condiviso dalla politica italiana.

Il ruolo dell’Italia

I dati preliminari Ocse relativi al 2023, infatti, ci restituiscono un’immagine poco promettente del contributo italiano alla cooperazione allo sviluppo. Dopo due anni di relativo miglioramento, l’andamento dell’aiuto pubblico allo sviluppo dell’Italia, cioè delle iniziative che sostengono educazione, salute, beni essenziali come acqua salubre ed energia, crescita economica, ambiente, con i Paesi a più basso tasso di sviluppo, sta vivendo un arresto che equivale a -17 per cento.

Il rapporto con il reddito nazionale lordo (Rnl) si è ridotto, scendendo sotto lo 0,30 per cento e segnando quindi un ulteriore allontanamento dall’obiettivo fissato in sede internazionale di raggiungere un rapporto Aps/Rnl pari allo 0,70 per cento entro il 2030. Addirittura l’aiuto bilaterale, cioè quello specifico tra l’Italia e i singoli Paesi impoveriti è diminuito del 45 per cento.  I dati ci dicono peraltro che le risorse continuano a stagnare da anni. E’ infatti da decenni che i governi italiani mantengono le risorse dallo 0,2 al 0,3 per cento, senza incrementi significativi e progressivi verso lo 0,7 per cento.

Per sensibilizzare i cittadini e la politica davanti alla necessità di finanziare i progetti di cooperazione internazionale nel mondo e di aumentare il contributo del nostro Paese, nasce il Progetto generazione cooperazione creato da 24 enti tra organizzazioni e reti della società civile nazionali tra cui Focsiv come capofila e finanziato dall’Aics, che si affianca alla Campagna 070.

Il progetto mira a seminare una diffusa sensibilità verso le tematiche della cooperazione allo sviluppo e, allo stesso tempo, a spronare la classe politica al raggiungimento dello 0,70 per cento del Reddito nazionale lordo per l’aiuto pubblico allo sviluppo, così come stabilito e promesso oltre cinquanta anni fa. In particolar modo il Progetto generazione cooperazione, attraverso laboratori per studenti, attività di formazione per docenti e presidi, rafforza le loro conoscenze e competenze in materia di cooperazione internazionale per lo sviluppo sostenibile e incoraggia l’azione civica nei territori, quindi a livello locale, cercando di mobilitare anche i rappresentanti politici affinché l’obiettivo dello 0,7 per cento venga assunto nella legge di bilancio. Questo approccio g-local risponde al raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030. L’obiettivo ultimo del progetto è promuovere il cambiamento culturale, assumendo comportamenti collettivi e istituzionali per la cooperazione internazionale per lo sviluppo sostenibile, la pace e la giustizia.

 

Ma quante risorse servono per la cooperazione allo sviluppo?

Per misurare l’impegno di un paese per la cooperazione allo sviluppo è internazionalmente riconosciuto come indicatore il rapporto tra fondi destinati all’aiuto pubblico allo sviluppo (Aps) e il reddito nazionale lordo (Rnl). Questo rapporto dovrebbe essere di almeno lo 0,7 per cento. Ma la realtà non è andata in questa direzione e per questo motivo, nel 2015 l’Onu ha inserito questo obiettivo nell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile al goal 17.2, definendo quindi l’impegno dei Paesi donatori di arrivare a quota 0,7 per cento del Rnl per l’Aps entro il 2030.

A tal proposito, la Campagna 070, promossa da Focsiv, Aoi, Cini e Link 2007, ha lanciato l’appello per un impegno concreto e verificabile in modo da assicurare che il nostro Paese raggiunga l’obiettivo di destinare lo 0,7 per cento del proprio reddito in aiuto pubblico allo sviluppo.

“La campagna invita l’Italia a un impegno realmente concreto, le grandi crisi globali, dalla pandemia al cambiamento climatico, dalla crescita delle disuguaglianze dai conflitti alle migrazioni, mostrano chiarissimamente che siamo tutti legati in un solo Pianeta e ci ricordano che la cooperazione internazionale non è lusso: la cooperazione è un investimento strategico per assicurarci un futuro sostenibile. Se non uniamo le nostre forze e se non saremo in grado di mantenere gli impegni che l’Italia ha preso in sede Onu in occasione dell’approvazione dell’Agenda 2030, non ce la faremo a vincere le sfide del futuro”, spiega la presidente Focsiv Ivana Borsotto.

Nello specifico, la Campagna 070, appoggiata dal progetto Generazione Cooperazione, ha lo scopo di chiedere al Governo italiano di avviare un percorso progressivo di aumento delle risorse per la cooperazione allo sviluppo fino a raggiungere lo 0.7 per cento del reddito nazionale lordo entro il 2030, così come previsto dalla Legge 125/14. Legge che enuncia come la cooperazione sia “parte integrante e qualificante della politica estera dell’Italia”, in linea con gli Obiettivi di sviluppo sostenibile. In tal senso è importante che l’Italia metta a disposizione risorse adeguate alla cooperazione, a partire dall’immediato mantenimento dell’impegno assunto dal nostro Paese 50 anni orsono di dedicare lo 0,7 per cento della propria ricchezza nazionale all’Aiuto pubblico allo sviluppo (Aps). Attualmente fermo a solo 6 miliardi di dollari contro i 13 previsti.

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