La digitalizzazione è il tema del 16 novembre alla Cop29 di Baku. Perché non possiamo farne a meno, anche nelle strategie climatiche.
Cosa succederebbe se la Cop 21 non bastasse per salvare il clima
Cop 21, la Francia ha ammesso che gli impegni dei governi per ridurre le emissioni inquinanti non saranno sufficienti a centrare gli obiettivi prefissati.
La conferenza mondiale sul clima, Cop 21, che si terrà a dicembre a Parigi sarà davvero risolutiva? La domanda è lecita. Talmente tanto che, a porsela, è stato anche il ministro dell’Ambiente francese, Ségolène Royal. Ma facciamo prima un passo indietro: ad oggi, sono 151 gli stati di tutto il mondo che hanno indicato ufficialmente i loro impegni in tema di riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra. Sommati, essi rappresentano all’incirca il 95 per cento dell’inquinamento generato a livello globale: si tratta dunque della prova inconfutabile di una presa di coscienza collettiva della gravità del problema.
Ma queste promesse saranno sufficienti a rispondere alla sfida? Ebbene, la responsabile ambientale dell’esecutivo di Parigi, ha dichiarato il 13 ottobre, in occasione del salone World Efficiency organizzato nella capitale transalpina, che “la traduzione degli impegni assunti dai governi in termini di aumento della temperatura media globale equivale ad una crescita compresa tra 2,5 e 2,7 gradi centigradi, entro la fine del secolo. Ce lo confermano i calcoli delle organizzazioni non governative nonché quelli di scienziati e climatologi”. Parliamo dunque di un valore nettamente più alto rispetto all’obiettivo che era stato fissato dagli stessi governi in occasione delle precedenti Conferenze mondiali, ovvero due gradi centigradi.
Tuttavia, tenuto conto delle difficoltà dei negoziati, e dei diversissimi orientamenti degli Stati in tema di cambiamenti climatici, il ministro francese si è mostrato ugualmente ottimista. “La dinamica è positiva – ha aggiunto – tenendo conto del fatto che temevamo di superare i tre gradi centigradi. Certo, ciò non toglie che gli impegni non sono evidentemente sufficienti”.
Dobbiamo dare probabilmente per assodato, dunque, che nel 2100 le temperature medie globali saranno attorno ai 2,6 gradi più alte rispetto ad oggi. Cosa significherà concretamente? Stando ai calcoli dell’Ipcc (Intergovernment Panel on Climate Change), si registreranno – tra le altre cose – un “aumento della siccità in numerose aree a latitudini medie e basse”, un “rischio crescente di estinzione per il 30 per cento delle specie viventi”, una “mortalità dei coralli molto marcata”, una “modificazione degli ecosistemi marini”, una “diminuzione dei rendimenti delle colture agricole alle basse latitudini”, nonché l’aumento di “tempeste e inondazioni” che colpiranno “milioni di persone in più rispetto ad oggi”.
È implicito che senza un accordo a Parigi tutto questo non soltanto si verificherà ugualmente, ma potrebbe assumere i caratteri della catastrofe planetaria. Ben venga, quindi, un nuovo protocollo di Kyoto, pur nei termini non soddisfacenti indicati fin qui dagli Stati. È però impossibile non domandarsi se questo sia davvero il massimo che i nostri governi sono in grado di fare per salvaguardare le prossime generazioni.
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