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Cop 22. John Kerry: la lotta per il clima crea ricchezza e posti di lavoro
All’indomani di un voto che ha proiettato alla Casa Bianca, caso unico al mondo, un capo di stato che non crede né all’esistenza del riscaldamento globale né alla responsabilità delle attività umane, il Segretario di Stato americano John Kerry interviene alla Cop 22. Infatti a Marrakech, dopo una settimana di lavoro preparatorio da parte degli
All’indomani di un voto che ha proiettato alla Casa Bianca, caso unico al mondo, un capo di stato che non crede né all’esistenza del riscaldamento globale né alla responsabilità delle attività umane, il Segretario di Stato americano John Kerry interviene alla Cop 22.
Infatti a Marrakech, dopo una settimana di lavoro preparatorio da parte degli sherpa, i negoziati sono entrati nel vivo con l’arrivo delle prime delegazioni di governo e dei capi – tra cui Angela Merkel e François Hollande – e soprattutto con l’attesissimo intervento del responsabile della politica estera statunitense.
Che, quasi a voler fare da cerniera tra i desolanti proclami elettorali di Trump e la politica reale, esordisce:
Nel periodo che ho trascorso nella vita pubblica, una delle cose che ho imparato è che alcune questioni sembrano un po’ diverse quando sei in carica rispetto a quando sei in campagna elettorale. La maggioranza degli americani sa che i cambiamenti climatici sono reali e vuole mantenere gli impegni presi con il Pianeta. Il mondo è più unito che mai, non solo accetta la sfida, ma vuole mantenere gli impegni presi a Parigi.
Dunque, il nuovo atteggiamento del governo Usa andrà misurato su tempi più lunghi e messo alla prova dei fatti. Certo che al momento è proprio questa la fotografia della nuova delicatissima fase che arriva da Marrakech, conferenza chiamata a dare sostanza alla linea tracciata nel dicembre 2015 con l’Accordo di Parigi. John Kerry si concentra sull’economia. “Sono ottimista – insiste Kerry – per i mercati, per gli impegni che il mondo del business ha assunto e che costringeranno i politici a raggiungere gli obiettivi. Investire in energia pulita è una scelta di senso economico. Nessuna nazione potrà fare meglio, se resta fuori”.
Il conto finale di un’economia ad alte emissioni di CO2 comprende assai più che il solo prezzo del petrolio o carbone, o gas naturale, o il prezzo di costruzione delle centrali termoelettriche. La contabilità dei costi reali esige di considerare pienamente tutte le conseguenze a valle, che, nel caso dei combustibili sporchi, sono sufficienti ad almeno raddoppiare o triplicare le spese iniziali.
Questo è il tipo di calcoli che dobbiamo fare oggi. Basti pensare al prezzo del degrado ambientale ed agricolo. Pensate alla perdita di capacità degli agricoltori in una zona a causa della mancanza di acqua o del troppo caldo per poter far crescere i loro raccolti oggi. Pensate alle fatture ospedaliere per asma ed enfisemi, e i milioni di morti collegati all’inquinamento atmosferico causato dall’uso dei combustibili fossili.
Così, nel suo ultimo discorso da Segretario di Stato americano, John Kerry ha voluto sottolineare l’idea che affrontare il riscaldamento globale potrebbe dare impulso all’economia, sbloccando ricchi investimenti in tecnologie verdi ed energie rinnovabili. Al contrario, avvisando che ogni Paese che non partecipa alla lotta non solo mette a rischio gli obiettivi di tutti, ma si auto-esclude dall’ondata di posti di lavoro e benefici economici della rivoluzione ecologica.
Nessuna nazione farà bene se si siede in disparte, privando le sue imprese della possibilità di beneficiare dei vantaggi dell’esplosione delle tecnologie pulite. Milioni di persone in tutto il mondo sono attualmente impiegate per l’energia rinnovabile e se facciamo le scelte giuste, altri milioni di persone saranno al lavoro. Il mercato è chiaramente diretto verso l’energia pulita e il trend può solo diventare ancor più pronunciato.
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