La Cop15 sta per iniziare. A Montréal tutto è pronto. Le aspettative sono alle stelle, i grandi della terra si apprestano a negoziare per il futuro della biodiversità. La speranza di tutti è che si trovi un accordo e si stabilisca la strada per portare a compimento tutti gli obiettivi preposti. Questa è l’ultima chiamata per salvare la natura. Cerchiamo di capire cos’è la Cop15 e perché è diventata l’ultima spiaggia per la biodiversità.
La Cop15 è la seconda parte della quindicesima Conferenza delle parti della Convenzione sulla diversità biologica, o biodiversità, (Cbd) delle Nazioni Unite. Si terrà a Montréal in Canada, dal 7 al 19 dicembre. La presidenza della conferenza sarà affidata a Huang Runqiu, ministro dell’ecologia e dell’ambiente della Repubblica popolare cinese. “La Cina è pronta a lavorare con la comunità internazionale, senza risparmiare alcuno sforzo, per promuovere un sistema di governance globale per la biodiversità”, ha affermato.
Perché una presidenza cinese? Perché originariamente la Cop15 si sarebbe dovuta tenere nel 2019 a Kunming, nello Yunnan, tuttavia, in seguito dei rinvii causati dalla pandemia e della politica zero-Covid di Pechino, si è optato per Montréal. “Il Canada sarà un partner collaborativo e costruttivo per adottare un nuovo quadro globale per la biodiversità post-2020. È la nostra opportunità per lasciare un pianeta sano e sostenibile alle generazioni future”, sono le parole di Steven Guilbeault, ministro dell’ambiente e cambiamenti climatici del Canada.
🌳 Biodiversity is calling you to 🇨🇦 Confronting the greatest loss of species since the dinosaurs’ demise, the 🗺️community convenes for #COP15 from 7-19 December🗓️ with the aim of adopting a new global biodiversity framework (GBF). Live updates-https://t.co/QiVgAT0A07#ForNaturepic.twitter.com/SOLVCKO46F
Durante queste due settimane, le 196 parti che fanno parte della Convenzione sulla diversità biologica si riuniranno per discutere e promuovere l’attuazione degli obiettivi preposti dalla Convenzione. Queste “parti” sono i governi e le organizzazioni regionali (come l’Unione europea) che hanno firmato e ratificato (cioè riconosciuto, convalidato) la Convenzione sulla diversità biologica. Non sono gli unici attori. Alla conferenza possono partecipare, e dare importanti input, anche le comunità locali, gli imprenditori, le comunità indigene, la società civile e i giovani. La Cbd è stata aperta alle firme durante il summit di Rio de Janeiro nel 1992 ed è entrata in vigore nel 1993. Ad oggi ne fanno parte quasi tutti i Paesi del mondo ad eccezione degli Stati Uniti (che hanno solo firmato e non ratificato, ma partecipano attivamente ai tavoli) e il Vaticano.
Perché una Cop15 se si è appena conclusa una Cop27?
Se a primo impatto possono sembrare la stessa cosa, non lo sono. Oltre al numero, la Cop27 di Sharm el-Sheikh appena terminata riguardava la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, quindi le questioni affrontate erano climatiche. La Cop15, invece, è sulla biodiversità. Sono entrambe conferenze delle parti, ma con argomenti diversi (anche se molto vicini).
Ad oggi si sono tenute 14 Cop sulla biodiversità e, come detto, questa è la quindicesima. La prima parte della Cop15 si è tenuta dall’11 al 15 ottobre 2021 principalmente online. Dal 2000 si è deciso di farla ogni due anni, mentre ogni dieci anni i governi concordano per nuovi obiettivi, e quest’anno scatta la decade. L’ultima volta fu la Cop10 a Nagoya in Giappone, quando le parti si accordarono – tra le altre cose – per dimezzare la perdita degli habitat naturali ed espandere le aree protette fino al 17 per cento della superficie terrestre entro il 2020. Purtroppo, hanno fallito in tutti i target. Per questo motivo “Montréal ha l’opportunità di dar vita a un Accordo di Parigi per la biodiversità, un trattato globale per la natura così come è stato quello del 2015 per il clima”, come affermato da Marco Lambertini, direttore di Wwf International.
Quali sono gli obiettivi della Cop15
I governi hanno sempre fallito. Hanno fallito in ogni singolo obiettivo della Cop10 per rallentare la perdita della biodiversità – dalla tutela dei coralli alla lotta all’inquinamento – così come in quelli fissati alle Cop precedenti. Quest’anno è l’ultima opportunità per salvare la natura. “Siamo a un punto critico della storia dell’umanità, la biodiversità sta diminuendo più velocemente che mai. L’uomo sta distruggendo il suo supporto vitale. Dobbiamo agire ora e dare alla natura una possibilità” è la forte affermazione di Elizabeth Wathuti, ambientalista e attivista della Gioventù keniota.
A Montréal saranno moltissime le questioni dibattute. La bozza della conferenza prevede 21 progetti con diversi target, tra cui proteggere almeno il 30 per cento dei suoli e dei mari entro il 2030, fermare i tassi di estinzione delle specie, ridurre l’uso dei pesticidi di circa due terzi, eliminare l’inquinamento della plastica, dimezzare il tasso di introduzione di specie invasive, aumentare i finanziamenti per la natura da fonti sia pubbliche che private.
Sono tutti fondamentali per affrontare i cinque fattori principali della perdita della natura: il cambiamento dell’uso del suolo e del mare, lo sfruttamento degli organismi, i cambiamenti climatici, l’inquinamento, le specie invasive, il consumo e la produzione insostenibile. “La nostra connessione con la natura può dirci da dove veniamo. Ma la natura determinerà anche il nostro futuro. La Cop15 è un momento critico per reimpostare il ruolo della natura. Abbiamo bisogno di obiettivi ambiziosi, riconoscendo anche i diritti e i ruoli dei popoli indigeni”, ha affermato Li Shuo, global policy advisor di Greenpeace Cina.
Perché proteggere la biodiversità?
Oggi un milione di specie animali e vegetali è a rischio di estinzione. I tassi di perdita sono mille volte più veloci rispetto a quelli naturali. Secondo i dati del rapporto Ipbes (Intergovernmental science-policy platform on biodiversity and ecosystem services), tre quarti degli ambienti terrestri e circa il 66 per cento degli ambienti marini sono stati alterati significativamente dalle azioni dell’uomo. L’abbondanza delle specie autoctone di habitat terrestri è diminuita di almeno il 20 per cento nell’ultimo secolo. Più del 40 per cento degli anfibi, quasi il 33 per cento dei coralli e un terzo dei mammiferi marini rischia l’estinzione. Secondo il report di BirdLife International, circa una specie di uccelli su otto è a rischio di estinzione.
In un articolo pubblicato su Nature è stato osservato che il 20 per cento dei rettili rischia l’estinzione, 1 su 5. Dall’ultimo Living planet report del Wwf è emerso un calo del 69 per cento dell’abbondanza relativa delle popolazioni di specie di vertebrati. Il tasso di estinzione degli insetti è 8 volte più veloce di quello dei vertebrati, e circa il 40 per cento è a rischio. Da questi dati è facilmente comprensibile quanto sia drammatica la situazione della biodiversità, e quanto sia sempre più presente il termine estinzione. Un fenomeno, quest’ultimo, che purtroppo è irreversibile.
The Living Planet Report 2022 is out. Here's what you need to know:
L’Italia vanta un patrimonio di biodiversità tra i più importanti d’Europa grazie al numero totale di specie, ma soprattutto per la quantità di endemismi – ovvero specie presenti esclusivamente sul nostro territorio. Nel nostro territorio si contano circa 1.169 briofite, 2.704 licheni e 8.195 piante vascolari, mentre per quanto riguarda la fauna si stimano più di 60mila specie, di cui il 98 per cento sono invertebrati e circa 1.300 vertebrati. Anche in mare la ricchezza è incredibile, con 2.800 specie di flora marina e circa 9.300 per la fauna. Tuttavia, i dati delle liste rosse Iucn(Unione mondiale per la conservazione della natura) non sono confortanti. Il 43 per cento delle specie di flora tutelate sono minacciate o a rischio di estinzione. Per la fauna, rischia l’estinzione il 21 per cento dei pesci cartilaginei, il 48 per cento dei pesci ossei di acqua dolce, il 2 per cento dei pesci ossei marini, il 19 per cento dei rettili, il 36 per cento degli anfibi, il 23 per cento dei mammiferi e il 27 per cento degli uccelli. Sono circa 240 le specie a forte rischio di estinzione. Visto che diversità biologica che la caratterizza e i tassi di endemismo sono minacciati dalle attività umane, l’Italia è considerata un hotspot di biodiversità.
Nonostante il territorio italiano sia limitato, presenta un’incredibile varietà di habitat, molti dei quali protetti dalle principali direttive sia europee che nazionali. Il position paper “Tutela della biodiversità: impatti e opportunità” di Inwit, leader nazionale nelle infrastrutture di telecomunicazione wireless come torri, tralicci e pali, fa sapere che, dei 233 habitat che necessitano di protezione individuati dalla direttiva habitat, sono ben 137 quelli presenti sul nostro territorio. Inoltre, le aree protette considerate come Rete Natura 2000 – comprendenti Zps (zone a protezione speciale), Sic (Siti di importanza comunitaria) e Zsc (Zone speciali di conservazione) – sono 2.625 per un totale di 6 milioni di ettari su terra e 1,5 milioni di ettari in mare.
“Consapevoli di questa grande ricchezza del territorio italiano, nel nostro paper abbiamo voluto approfondire le specie e gli endemismi a rischio – afferma Michelangelo Suigo, direttore relazioni esterne, comunicazione e sostenibilità di Inwit – e, attraverso il monitoraggio di determinati parametri ambientali che riusciamo a fare attraverso le nostre infrastrutture, siamo in grado di fornire una concreta azione di monitoraggio per tutelarne la conservazione”.
Cosa possono fare le aziende per tutelare la biodiversità
Non è un caso che le aziende si dedichino a studi e analisi sulla biodiversità. Perché anche il settore privato è chiamato a studiare i propri possibili impatti sull’ambiente circostante e intervenire ove necessario. “In questo contesto – prosegue Michelangelo Suigo di Inwit – per noi è fondamentale non solo fare analizzare al meglio la diversità biologica, ma anche valutare che tipo di impatto hanno le nostre infrastrutture”. Per questo motivo sono stati valutati i fattori di incidenza potenziale (ovvero che potrebbero portare un impatto negativo sulla biodiversità) connessi alle attività svolte e le diverse opportunità che le infrastrutture possono offrire per lo studio e la protezione della natura.
I risultati delle valutazioni di incidenza sono stati molto positivi. Hanno indicato che i valori teorici relativi alla stima della magnitudine delle incidenze sono compresi fra assente/non significativa e lieve/moderata, non presentando la presenza di possibili impatti significativi. E solamente il 5 per cento delle torri è all’interno di aree protette. “Per lo studio e la protezione della biodiversità – conclude Suigo – stiamo predisponendo l’installazione, su alcune nostre torri, di sensori IoT, videocamere smart e gateway per la raccolta ed elaborazione dei dati. I vantaggi per la biodiversità sono molteplici, ad esempio in termini di monitoraggio dell’inquinamento atmosferico e dei più diversi parametri ambientali, dal rischio incendi fino al controllo faunistico e degli habitat naturali”.
Questo è uno dei tanti esempi che dimostrano quanto sia importante che anche il settore privato collabori per la salvaguardia della natura, mettendo a frutto competenze e tecnologie. Parlando di innovazione, è molto promettente il contributo delle startup. Beewise, ad esempio, offre una tecnologia per monitorare a distanza le arnie, i movimenti e le attività delle api, per intervenire su determinati parametri ambientali. Rainforest connection installa apparati tecnologici connessi alla rete mobile per captare e monitorare i rumori di un determinato ambiente, in modo da cogliere quelli che possono essere ricondotti a pratiche illegali. L’italiana Forest Sharing, che fa parte dell’ecosistema di LifeGate Way, offre servizi e consulenza per valorizzare il patrimonio boschivo. Sono soltanto alcuni casi di studio, ma dimostrano quanto l’interesse nei confronti di questo tema sia sempre più vivo.
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