Dalla Cop26 di Glasgow arriva un primo segnale di speranza. Nel pomeriggio di lunedì 1 novembre i dirigenti di 100 governi, presenti alla ventiseiesima conferenza mondiale sul clima delle Nazioni Unite, si sono impegnati ad interrompere i processi di deforestazione e di degrado del suolo, di qui al 2030.
📢 NEWS: At COP26, over 100 leaders have committed to halt and reverse forest loss and land degradation by 2030.
"To have any chance of keeping below 1.5°C of global warming, we must halt deforestation" — Sir David Attenborough
Nelle 100 nazioni l’85 per cento delle foreste della Terra
Si tratta di un impegno significativo, anche e soprattutto in ragione dei paesi che lo hanno assunto: nell’elenco, infatti, figurano Stati Uniti, Cina, Russia, Germania, Francia, Regno Unito. Ma soprattutto il Brasile, che ospita buona parte della foresta amazzonica, il Canada (foresta boreale) e la Repubblica Democratica del Congo (foresta tropicale). Complessivamente gli stati in questione rappresentano più dell’85 per cento delle foreste del Pianeta.
Nel quadro dell’accordo, dodici nazioni in particolare si sono impegnate inoltre a stanziare congiuntamente 12 miliardi di dollari di fondi pubblici tra il 2021 e il 2025 per progetti di difesa delle foreste. Ai quali si dovranno aggiungere altri 7,2 miliardi di investimenti privati. In particolare, 1,5 miliardi saranno dedicati alla protezione del bacino forestale del Congo: un’area di 3,7 milioni di chilometri quadrati, che abbraccia sei nazioni africane.
Alla Cop26 assunti impegni anche finanziari sulla deforestazione
Al contempo, gli amministratori delegati e presidenti di più di 30 istituti finanziari, che rappresentano un totale di oltre 8.800 miliardi di dollari di asset gestiti, si impegneranno a loro volta in una serie di attività legate alla limitazione della deforestazione.
Secondo quanto riferito dal primo ministro del Regno Unito Boris Johnson, che ospita la Cop26, si tratta del “più grande passo in avanti nella protezione delle foreste della Terra mai raggiunto nella nostra generazione”. L’accordo rappresenta, ha aggiunto il capo del governo di Londra, “una possibilità per porre fine alla lunga storia di un’umanità che ha trattato la natura come una preda e avviare la storia di un’umanità che ne diventa guardiana”.
Greenpeace: “Via libera ad un altro decennio di deforestazione”
Di diverso avviso le organizzazioni non governative, come nel caso di Greenpeace, secondo la quale la scadenza al 2030 è “decisamente troppo lontana nel tempo” e concede di fatto il via libera “per un altro decennio” alla deforestazione. Carolina Pasquali, di Greenpeace Brasile, ha aggiunto che “i popoli indigeni chiedono che l’80 per cento della foresta amazzonica sia protetta di qui al 2025”. Il Coordinamento delle organizzazioni autoctone amazzoniche (Coica), inoltre, ha indicato che vigilerà e sul fatto che i fondi siano realmente stanziati.
“Dobbiamo proteggere quelle parti dell’Amazzonia che ancora non hanno raggiunto il tipping point – ha spiegato Leila Salazar-López, direttrice esecutiva di Amazon watch -. Il modo migliore per riuscirci è assicurare che i diritti degli indigeni siano rispettati. Ciò che dobbiamo fare è tutelare l’80 per cento dell’Amazzonia entro il 2025”.
Leaders of more than 100 countries, including Brazil, China and the U.S., vowed at #COP26 to end deforestation by 2030. The move seeks to preserve critical forests that can absorb carbon dioxide and slow the rise in global warming. https://t.co/1bcEIOxLvG
A sorprendere, in effetti, è proprio l’ok concesso dal governo brasiliano di Jair Bolsonaro, che a più riprese ha dato dimostrazione di non essere incline a difendere particolarmente la regione amazzonica. È per questo che occorrerà vigilare attentamente su ciò che verrà fatto di qui alla data indicata del 2030. Il rischio è infatti che si possa considerare il decennio come un periodo sufficiente per continuare a sfruttare fino in fondo le pratiche di deforestazione. Inoltre, sarà fondamentale capire se l’impegno, a tale data, verrà mantenuto davvero: tutte le promesse effettuate nei consessi internazionali non sono, infatti, giuridicamente vincolanti.
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