Il vestito blu, camicia bianca e cravatta, e i piedi nell’oceano. Dietro di lui, la bandiera delle Nazioni Unite e quella del suo paese, Tuvalu. Un atollo di 26 chilometri quadrati, 11mila abitanti, nel bel mezzo del Pacifico. Lui si chiama Simon Kofe ed è il ministro degli Esteri dello stato insulare. Ha deciso di registrare una dichiarazione video per partecipare, a distanza, alla ventiseisima Conferenza mondiale sul clima delle Nazioni Unite, la Cop26 che si tiene a Glasgow.
Il Pacifico potrebbe inghiottire Tuvalu in meno di 50 anni
Un gesto simbolico di grande portata, non soltanto mediatica (le immagini hanno fatto il giro del mondo). Quello che ha lanciato Kofe è infatti soprattutto un monito. Un appello accorato ai governi di tutto il mondo, che sembrano ancora molto lontani dal raggiungere un punto d’incontro per rendere operativo l’Accordo di Parigi.
Il ministro degli Esteri di Tuvalu ha ricordato a tutti, in modo drammaticamente efficace, che la sua nazione, per via del riscaldamento globale, rischia semplicemente di scomparire dalle carte. Sommersa dalla risalita del livello dei mari, provocata dalla fusione dei ghiacci polari, causata a sua volta dalla dispersione di gas ad effetto serra di origina antropica nell’atmosfera.
Nella sua dichiarazione, registrata il 4 novembre, Kofe ha spiegato di aver voluto “contrapporre al quadro della Cop26 le situazioni reali riscontrate a Tuvalu”. L’arcipelago polinesiano, suddiviso in nove atolli, rischia di essere inghiottito dall’oceano in meno di 50 anni. E numerose altre nazioni insulari sono nella stessa situazione.
Today, as part of preparations for Hon. Minister Simon Kofe's video statement for the Pacific Climate Change Mobility…
Dalla Cop26 di Glasgow gli stati insulari attendono risposte
Inoltre, anche gli stati che non rischiano di scomparire vivranno minacciati dagli eventi meteorologici estremi, che potranno esacerbare il problema della risalita del livello dei mari. In caso ad esempio di cicloni, infatti, i danni provocati saranno via via sempre più gravi sulle coste, così come le perdite in termini di vite umane.
Anche per questo è urgente che alla Cop26, tra le altre cose, i governi dei paesi ricchi si impegnino finalmente a mantenere la promessa avanzata nel lontano 2009, alla Cop15 di Copenaghen. All’epoca, ci si accordò per trasferimenti pari a 100 miliardi di dollari all’anno a favore delle nazioni più povere e vulnerabili di fronte ai cambiamenti climatici. Ma quella cifra, ancora oggi, non è mai stata stanziata per intero.
Finanza climatica, carbon credit, gender, mitigazione. La Cop29 si è chiusa risultati difficilmente catalogabili in maniera netta come positivi o negativi.
Si parla tanto di finanza climatica, di numeri, di cifre. Ma ogni dato ha un significato preciso, che non bisogna dimenticare in queste ore di negoziati cruciali alla Cop29 di Baku.
Basta con i “teatrini”. Qua si fa l’azione per il clima, o si muore. Dalla Cop29 arriva un chiaro messaggio a mettere da parte le strategie e gli individualismi.