Dopo una lunga notte di negoziati, alle prime ore del mattino di mercoledì 10 novembre è stata pubblicata la prima bozza di dichiarazione finale alla Cop26.
Per la prima volta appare un riferimento alla necessità di abbandonare il carbone e bloccare i sussidi alle fonti fossili.
È stato inserita la decisione di adottare un piano di lavoro per rivedere gli impegni di breve periodo e non perdere la possibilità di centrare l’obiettivo degli 1,5 gradi.
Manca una data precisa per la carbon neutrality.
Sulla trasparenza nel reporting sugli avanzamenti in termini di abbattimento delle emissioni, la distanza appare quasi incolmabile.
Poco prima delle sei di mattina di mercoledì 10 novembre 2021 è stata pubblicata la prima bozza della possibile dichiarazione finale della Cop26 di Glasgow. Il documento costituirà la base sulla quale lavoreranno i negoziatori delle quasi 200 nazioni presenti in Scozia di qui alla fine della conferenza, partendo da alcuni timidi passi in avanti e numerosi nodi ancora da sciogliere.
Oltre a prendere atto della necessità di agire, le “parti” affermano di aver “accolto” la prima parte del nuovo rapporto dell’Ipcc, il Gruppo intergovernativo di esperti sui cambiamenti climatici, secondo il quale numerosi effetti del riscaldamento globale provocato dalle attività umane sono ormai irreversibili. E chiede espressamente ai capi di stato e di governo di lavorare al fine di incrementare le azioni nei settori-chiave per la lotta ai cambiamenti climatici, anche stabilendo impegni concreti di breve termine.
The UK Presidency has this morning published the #COP26 first draft cover decisions
I will be holding an informal stocktaking plenary at 1230 today
We will continue to hear all views and my door is open to everyone
I passi in avanti nella prima bozza di accordo alla Cop26
La richiesta di rivedere gli obiettivi di riduzione delle emissioni di CO2
La bozza indica infatti, in questo senso, che è necessario “rivedere e raggirare i target al 2030 nell’ambito delle Nationally determined contributions”. Si tratte delle Ndc, le promesse di riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra che sono state avanzate da ciascun governo. E che per ora, secondo una recente valutazione dell’Unep, porterebbero la crescita della temperatura media globale a ben 2,7 gradi centigradi, alla fine del secolo, rispetto ai livelli pre-industriali. Anche tenendo conto degli ulteriori annunci avanzati dai governi negli ultimi giorni, il Climate action tracker indica che il valore non scenderebbe al di sotto dei 2,4 gradi: infinitamente di più rispetto all’obiettivo più ambizioso dell’Accordo di Parigi, che punta a rimanere il più possibile vicini agli 1,5 gradi.
Per quanto riguarda l’adattamento ai cambiamenti climatici, il documento “enfatizza l’urgenza di aumentare le azioni e il supporto per ridurre la vulnerabilità, in linea con ciò che indica la scienza e con le priorità e le necessità dei paesi in via di sviluppo”.
Il richiamo sulle promesse di aiuti dai paesi ricchi a quelli più poveri
A tal proposito, viene indicato a chiare lettere che “si nota con profonda preoccupazione che gli attuali stanziamenti sono insufficienti per rispondere all’aggravarsi degli impatti dei cambiamenti climatici” nelle nazioni più povere della Terra. Il riferimento, ancora una volta è ai 100 miliardi di dollari all’anno che furono promessi per la prima volta alla Cop15 di Copenaghen, nel 2009, e che da allora non sono mai stati stanziati per intero.
La prima bozza diffusa alla Cop26, tuttavia, parla espressamente della necessità di “una transizione giusta” verso l’azzeramento delle emissioni nette di CO2 a livello mondiale. Il che indica, almeno in linea teorica, la volontà di sottolineare l’importanza di garantire equità nell’ambito del processo di trasformazione di business, economia e infrastrutture che sarà necessario operare.
Il punto fermo: non abbandonare la speranza degli 1,5 gradi
In questo senso, di particolare importanza appare il fatto che per la prima volta viene indicata, al punto 37 della bozza, la proposta di “accelerare l’uscita dal carbone” e, soprattutto, la fine dei sussidi concessi alle fonti fossili. “Si tratta – spiega Mauro Albrizio, direttore dell’Ufficio europeo di Legambiente, tra gli osservatori della società civile alla Cop26 di Glasgow – di un passo in avanti politico importante. Ma per ora non viene specificato concretamente né quando né in che modo ciò dovrà essere fatto. Il lavoro da fare resta dunque ancora molto”.
In questo senso, è utile ricordare come, secondo un rapporto pubblicato da Bloomberg Nef e Bloomberg Philanthropies, le sole nazioni del G20, a partire dall’anno di approvazione dell’Accordo di Parigi, il 2015, hanno concesso a carbone, petrolio e gas qualcosa come 3.300 miliardi di dollari. Un valore definito “sconsiderato” dagli autori dello studio.
Al punto 28, inoltre, i governi affermano in modo netto di aver “deciso” di “stabilire un programma di lavoro per incrementare le ambizioni in materia di mitigazione” nel corso del prossimo cruciale decennio. “È il punto più importante ottenuto nella prima bozza – osserva Albrizio -, poiché solo in questo modo ci si potrà trovare ancora nei prossimi anni nelle condizioni di rimanere su una traiettoria tale da avere ancora qualche chance di centrare l’obiettivo degli 1,5 gradi”.
I grandi nodi ancora da sciogliere
Non c’è una data precisa per la carbon neutrality
Nonostante i timidi avanzamenti, tuttavia, sono numerose le questioni che ancora dividono i governi. Il punto 24, ad esempio, sembra ripetere l’impasse nella quale ci si è ritrovati al termine dell’ultimo G20 di Roma. Anziché indicare infatti le necessità di raggiungere la carbon neutrality ad una data certa, il 2050, si è preferito indicare la formula, ben più vaga, “attorno alla metà del secolo”. Il che rischia di concedere un ampio margine alle nazioni che non ritengono di volersi impegnare in modo stringente.
Eppure, la stessa bozza ammette, al punto 26, che tenendo conto anche delle ultime implementazioni alle NDC, il quantitativo di gas ad effetto serra “si stima possa essere, nel 2030, superiore del 13,7 per cento rispetto al livello del 2010”.
A draft of a climate accord from the #COP26 summit was released, urging nations to phase out coal and fossil fuels but offering no firm deadlines.
Alla Cop26, inoltre, un elemento di grande discussione è quello legato alla trasparenza. L’obiettivo è di accordarsi su una griglia comune che possa consentire di monitorare in modo efficace (e non opinabile) gli avanzamenti di ciascuna nazione in materia di abbattimento delle emissioni di gas ad effetto serra. Sul punto si è continuato a discutere anche nella notte tra martedì e mercoledì, senza che sia stato trovato un punto d’incontro.
L’impressione è che la presidenza inglese, assieme alla Danimarca, stiano tentando di convincere la nazione più recalcitrante, la Cina, ad accettare che si imponga anche a Pechino una forma di controllo. La partita si gioca sulla possibilità, richiesta da una serie di nazioni, di poter omettere alcuni dati nel reporting comune. E secondo fonti non è escluso che il punto venga del tutto accantonato, a causa dell’impossibilità di raggiungere un accordo.
Si parla tanto di finanza climatica, di numeri, di cifre. Ma ogni dato ha un significato preciso, che non bisogna dimenticare in queste ore di negoziati cruciali alla Cop29 di Baku.
Basta con i “teatrini”. Qua si fa l’azione per il clima, o si muore. Dalla Cop29 arriva un chiaro messaggio a mettere da parte le strategie e gli individualismi.