L’eredità della Cop27 è agrodolce perché non si può barattare la mitigazione con le riparazioni per le perdite e i danni subiti per colpa della crisi climatica.
La Cop27 ha adottato un piano per la creazione di un fondo su perdite e danni, loss and damage, subiti dai paesi più vulnerabili alla crisi climatica
Però non ha fatto passi avanti sulla mitigazione, cioè sul taglio delle emissioni di CO2
La necessità è di unire nord e sud del mondo verso una decarbonizzazione dell’economia
Con il martelletto battuto alle 4:20 circa del mattino, ora egiziana, nella notte tra sabato e domenica, il presidente della Cop27 e ministro degli Esteri egiziano, Sameh Shoukry, ha sancito l’adozione del documento che pone le basi per la creazione di un fondo per le perdite e i danni subiti dai paesi più colpiti dalla crisi climatica: si tratta del fondo “loss and damage”. Una decisione che ufficializza il tema delle riparazioni come terzo pilastro dei negoziati sul clima dopo mitigazione e adattamento. Un risultato storico che pone il primo tassello fondamentale di una battaglia trentennale per la giustizia climatica portata avanti da attivisti di tutto il mondo, compatti, oltre che dai funzionari e dai delegati dei paesi del global south, cioè di quella parte di mondo meno responsabile delle emissioni di gas serra, ma più vulnerabile alle conseguenze estreme del riscaldamento globale.
“Abbiamo lottato per 30 anni rimanendo sulla nostra posizione e oggi a Sharm el-Sheik questo viaggio ha raggiunto il suo primo grande obiettivo positivo”, ha affermato la ministra per il Clima del Pakistan, Sherry Rehman, durante il suo intervento alla plenaria conclusiva. E rivolgendosi a Shoukry ha aggiunto: “Presidente, aveva promesso una Cop dell’implementazione e ci ha consegnato una Cop dell’implementazione. Mi congratulo con lei”.
Un discorso netto quello della ministra pakistana, un giudizio positivo sull’operato della presidenza egiziana che avrebbe così dato risposte al bisogno di assistenza da parte del paese asiatico che lo scorso agosto ha vissuto e subìto uno dei peggiori disastri della sua storia, con alluvioni e inondazioni rese estreme dal riscaldamento globale che hanno causato oltre 1.700 morti. Sono più di 20 milioni le persone che hanno avuto bisogno di aiuti umanitari, mentre i danni sono stati calcolati in oltre 30 miliardi di dollari. Un dramma che ha sicuramente spinto i delegati del sud del mondo a unirsi compatti e far fronte comune per ottenere l’adozione di questo fondo alla Cop27.
Come si è arrivati all’adozione di un fondo per loss and damage alla Cop27
Un successo sì, ma considerato parziale da molti paesi, in particolare del nord del mondo, secondo i quali non si sarebbe fatto abbastanza per prendere decisioni altrettanto importanti sul tema della mitigazione, cioè della riduzione delle emissioni di CO2. Di fatto, l’unica vera causa dell’aumento della temperatura media globale. Tra le voci più critiche c’è stata quella di Frans Timmermans, vicepresidente e commissario per il Clima dell’Unione europea.
Nelle ore che hanno preceduto la decisione finale, il capodelegazione europeo aveva accettato la proposta di istituire un fondo per le perdite e i danni pur affermando di non essere convinto dello strumento perché la creazione di un fondo richiede tempo, e ancora di più riempirlo di soldi. La base dei donatori però si sarebbe dovuta allargare, includendo anche quelle nazioni che sono ancora classificate come “in via di sviluppo” dalla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (Unfccc) adottata nel 1992, ma che nel frattempo sono diventate tra le economie più floride al mondo e tra le maggiori responsabili delle emissioni attuali. Come la Cina.
Un tentativo, questo, che secondo le intenzioni avrebbe dovuto rompere il fronte costituito dai paesi in via di sviluppo insieme a Pechino. Un tentativo mal riuscito e che ha visto, al contrario, i paesi industrializzati soccombere alle richieste dei più vulnerabili. Non solo. Si sono persino rischiati passi indietro sull’obiettivo degli 1,5 gradi a causa della pressione di paesi produttori di petrolio come l’Arabia Saudita, sempre più sfacciata nei suoi tentativi.
#COP27 is in overtime. The EU is united in our ambition to move forward and build on what we agreed in Glasgow. Our message to partners is clear: we cannot accept that 1.5C dies here and today.
È a questo punto che Timmermans, sabato mattina, ha deciso di alzare la voce e sbattere i pugni sul tavolo per rimarcare che se non si tagliano le emissioni, le strategie di adattamento e di risarcimento diventerebbero inutili, impossibili da gestire perché i danni diventerebbero sempre più gravi e letali. “Gli amici sono veri amici quando ti dicono anche le cose che non vorresti sentirti dire”, ha affermato poi Timmermans in seduta plenaria. Quasi una stoccata a Shoukry e al suo approccio giudicato da molti veterani confusionario e inadeguato. Un discorso chiaro e didascalico nonostante la stanchezza evidente, che ha riportato l’attenzione sui moniti della scienza.
Senza mitigazione non c’è adattamento e tantomeno riparazioni da perdite e danni
L’Unione europea, il Regno Unito e altri stati avrebbero voluto che nel testo finale della Cop27 di Sharm el-Sheik fosse inserito anche il 2025 come anno in cui si sarebbe dovuto raggiungere il picco delle emissioni a livello globale e un chiaro riferimento a un calo, se non addirittura a un abbandono di tutti i combustibili fossili e non solo del carbone. Senza questi riferimenti espliciti diventa difficile rispettare qualsiasi obiettivo di contenimento del riscaldamento globale. Oggi, infatti, l’aumento della temperatura media globale è già pari a circa 1,2 gradi e considerando che in questi anni abbiamo aumentato le emissioni di gas serra anziché averle ridotte, è facile immaginare che nel prossimo futuro non saremo in grado di fare quello che era previsto sommato a quello che ancora non siamo riusciti a fare.
Una posizione condivisa anche dal segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres, che non ha mai usato parole moderate per chiedere maggiore azione alla comunità internazionale. Erano sue le parole pronunciate durante la plenaria di apertura in cui paragonava la traiettoria dell’umanità a quella di un’auto lanciata a tutta velocità su un’autostrada verso l’inferno climatico.
Questa volta le parole di Guterres rispecchiano appieno quel misto di sapore agrodolce. Parole di chi sa che con l’adozione del fondo per loss and damage si è scritta una pagina importante di storia dei negoziati sul clima. Un risultato mai raggiunto da nessun’altra Cop. Ma Guterres è anche consapevole anche del fatto che ancora non si stia facendo nulla per togliere il piede dall’acceleratore: “La Cop27 ha fatto passi importanti verso la giustizia [climatica, ndr]. Non è chiaramente sufficiente, ma è un segnale politico necessario per ricostruire la fiducia” tra il nord e il sud del mondo, ma soprattutto dell’opinione pubblica verso il processo negoziale in sé. Per questo Guterres, intervistato dal quotidiano britannico Guardian, ha aggiunto che “non c’è alternativa per evitare la catastrofe se non quella che le due parti [paesi industrializzati e in via di sviluppo, ndr] raggiungano un patto storico. Perché stando alla situazione attuale, siamo tutti condannati”.
Questa “Cop africana”, come definita da Shoukry, è stata solo un tassello della storia delle conferenze sul clima. Un tassello che ha messo al centro le conseguenze e non le cause del riscaldamento globale, che ha affrontato la necessità di adeguarsi a un clima che è già cambiato. Questo perché l’Egitto o altri paesi africani sono responsabili in modo infinitesimale dell’attuale concentrazione di gas serra in atmosfera, mentre sono tra i più vulnerabili alle conseguenze della crisi climatica. La speranza è che sia il tassello necessario per riportare la conversazione su un piano di equilibrio a livello geopolitico, per ridare fiducia a un processo che negli ultimi anni aveva perso di autorevolezza perché considerato inutile da larga parte dell’opinione pubblica.
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