Cop29

È iniziata la Cop29 (con una settimana di ritardo)

Basta con i “teatrini”. Qua si fa l’azione per il clima, o si muore. Dalla Cop29 arriva un chiaro messaggio a mettere da parte le strategie e gli individualismi.

Come spesso accade, la seconda settimana sovverte gran parte delle cose che abbiamo temuto si potessero verificare nella prima. E così sta succedendo (è ancora presto per usare il participio passato) anche questa volta. Alla Cop29 di Baku, in Azerbaigian, la seconda settimana di negoziati sul clima sembra aver improvvisamente risvegliato la voglia di raggiungere un risultato che salvi la faccia al paese ospitante persino alla sonnolenta presidenza azera di Mukhtar Babayev. Un risveglio che – va sottolineato – non ha infuso l’entusiasmo che era capace di infondere il suo predecessore Sultan Al Jaber. Babayev ha semplicemente suonato la sveglia ricordando quanto sia necessario “andare più veloce” per raggiungere “risultati ambiziosi”. Già. Dopodiché è stato tutto uno scaricabarile. Verso i ministri di economia e finanza o di ambiente e clima che sono arrivati in città nelle ultime ore. E poi verso i leader del G20 che, sempre in queste ore, sono in raccoglimento in Brasile – neanche a dirlo, paese della Cop30.

Baku chiama Rio, rispondete!

Babayev ha chiesto apertamente al G20 di assumere l’iniziativa e rompere lo stallo negoziale. Del resto, ha ricordato sempre il presidente della Cop29, “il G20 rappresenta l’85 per cento del pil globale e l’80 per cento delle emissioni totali”. E quindi è solo da lì che si possono sbloccare i due temi cardine di questa conferenza: finanza climatica e mitigazione (cioè riduzione delle emissioni). Ma mi raccomando, ricordano dal Climate action network (Can), il collettivo di ong che da anni guida le istanze della società civile ai negoziati, non facciamo quelli che barattano una cosa per l’altra. Cioè non facciamo che per concentrarci sulla finanza ci dimentichiamo della mitigazione. Proprio questo scenario si stava per delineare nel corso della prima settimana, dopo che “qualcuno” ha giocato la carta del regolamento (rule 16) che prevede che “qualsiasi punto all’ordine del giorno di una sessione ordinaria”, venga inserito all’ordine del giorno della successiva, “salvo diversa decisione della conferenza delle parti”. In molti, dunque, hanno temuto che di mitigazione se ne riparlasse ai negoziati intermedi di Bonn, a giugno 2025, salvo poi “diversa decisione” arrivata nella tarda mattinata di oggi.

Chi farà la prima mossa alla Cop29?

Nonostante questo tentativo di Babayev di smuovere le acque, si gioca ancora a carte coperte. A cominciare dall’Europa che, storicamente, ha sempre cercato di sbloccare la partita. Can chiede a Bruxelles di non avere paura, di tirare fuori i numeri, siano essi per la finanza climatica – ricordiamoci che per la transizione si parla di cifre complessive che si aggirano tra i 1.000 e i 1.300 miliardi di dollari – o per la mitigazione. In questo caso va sottolineato che entro il prossimo anno i paesi più responsabili delle emissioni sono chiamati a presentare nuove promesse di riduzione della CO2 per non perdere di vista l’obiettivo dell’Accordo di Parigi, ovvero rimanere ben al di sotto dei 2 gradi Celsius di aumento della temperatura media globale.

Dal canto suo Wopke Hoekstra, commissario per l’Azione per il clima, ha ammesso che l’Europa è in ritardo, complice la recente tornata elettorale che ha fatto rallentare la corsa del green deal, il piano strategico per portare il Vecchio continente nel futuro.

Oltre i singoli alberi, c’è in ballo una foresta

A cercare di chiudere la giornata di oggi con un po’ di pathos misto a romanticismo ci ha pensato Simon Stiell, segretario esecutivo dell’Unfccc (la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, ovvero il campo da gioco entro cui si tengono i negoziati). Stiell ha provato a prendere il posto dell’allenatore António Guterres nello spronare i giocatori: “Non possiamo più permetterci un’ondata di individualismo – Stiell pronuncia l’espressione you-first-ism che porta dal particolare al generale il significato dello slogan America first – dove gruppi di paesi si irrigidiscono e si rifiutano di fare progressi su un tema, finché altri non avanzano altrove. Questa è una ricetta per non andare da nessuna parte – ha rimbrottato il segretario –. E potrebbe far retrocedere gli sforzi globali per il clima proprio in un momento in cui dobbiamo assolutamente andare avanti”.

E lanciando un nuovo monito ai leader del G20 che si trovano – guarda caso – in Amazzonia, una delle foreste più importanti al mondo, aggiunge: “We can’t lose sight of the forest because we’re tussling over individual trees”, letteralmente: non possiamo perdere di vista la foresta solo perché ci azzuffiamo sui singoli alberi. Parafrasato: non possiamo perdere di vista il quadro generale concentrandoci sui dettagli dei singoli.

E allora basta con i “teatrini”, basta con “strategie volte a far perdere tempo prezioso”. Alla Cop29 è arrivato il momento di “cominciare a lavorare seriamente”.

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