Cop29

La Cop29 di Baku inizia con un accordo sul mercato globale dei carbon credits

La giornata inaugurale della Cop29 segna un passo avanti sul mercato internazionale dei carbon credits. Ma senza un reale dibattito.

  • La Cop29 di Baku inizia con un passo avanti sull’articolo 6.4 dell’Accordo di Parigi.
  • Sono stati approvati i nuovi standard per disciplinare il mercato globale dei carbon credits.
  • Di fatto, però, il testo era già pronto e non c’è stato margine di discussione.

È stata una partenza in salita per la Cop29, la ventinovesima Conferenza delle parti sul clima che si tiene a Baku, in Azerbaigian, dall’11 al 22 novembre 2024. Nonostante defezioni e ritardi, però, anche quest’anno – come nel 2023 – è stato centrato un risultato già nel primo giorno di negoziati. Alla Cop28 di Dubai era stato il turno del fondo per il loss and damage, quest’anno il protagonista è l’articolo 6 dell’Accordo di Parigi che disciplina il mercato globale dei carbon credits.

Cosa prevede l’articolo 6 dell’Accordo di Parigi

La prima giornata di negoziati a Baku si è focalizzata sull’articolo 6 dell’Accordo di Parigi, il cui obiettivo è quello di spronare la collaborazione tra stato e stato per la riduzione delle emissioni. Il meccanismo è quello dei carbon credits, i cosiddetti “diritti a inquinare”: semplificando, uno stato che resta al di sotto di una determinata soglia di emissioni guadagna dei crediti che può cedere a un altro stato che, invece, ha generato più gas serra del dovuto. Così facendo, decarbonizzare diventa economicamente vantaggioso.

Considerato che ogni paese è tenuto a presentare i propri piani di riduzione delle emissioni (nationally determined contributions, ndc), l’articolo 6.2 dell’Accordo di Parigi fa in modo che possano accordarsi tra di loro per scambiarsi questi risultati di mitigazione. Tecnicamente si parla di Itmos, Internationally transferred mitigation outcomes. Funziona all’incirca così: lo stato A compra un credito dallo stato B e quest’ultimo spende i soldi ricevuti per un progetto che ha un impatto positivo (come l’installazione di pannelli solari o l’elettrificazione dei trasporti pubblici). Lo stato A, a quel punto, può contabilizzare le emissioni risparmiate all’interno delle proprie ndc, come avrebbe fatto per un progetto in patria. Oppure, può venderle a un altro stato che ne ha bisogno. L’importante è non conteggiarle due volte (in gergo si parla di double counting). Finora sono stati siglati una novantina di accordi di questo tipo, ma l’unico arrivato a compimento è quello tra Svizzera e Thailandia.

Fin qui si parla solo di intese bilaterali tra gli stati. L’articolo 6.4 dell’Accordo di Parigi prevede invece di istituire un nuovo mercato internazionale dei carbon credits, vigilato dalle Nazioni Unite, a cui possano partecipare soggetti pubblici e privati.

Cosa si è deciso sul mercato globale dei carbon credits

Dopo anni di impasse, la giornata inaugurale della Cop29 ha segnato un importante passo avanti sul mercato internazionale dei carbon credits. “Facendo incontrare in modo efficiente acquirenti e venditori, questo mercato potrebbe ridurre il costo dell’attuazione delle ndc di 250 miliardi di dollari all’anno”, ha dichiarato il presidente della Cop29 Mukhtar Barbayev. In questo contesto gli acquirenti sono i paesi industrializzati, in forte ritardo nel loro percorso di decarbonizzazione, e i venditori sono i paesi in via di sviluppo che hanno bisogno di risorse per proteggere i propri serbatoi di CO2 (come le foreste) o per sviluppare progetti legati alle energie pulite.

I due nuovi standard per il mercato dei carbon credits riguardano rispettivamente la rimozione della CO2 e lo sviluppo e la valutazione dei progetti. Il primo tema, in particolare, appare piuttosto controverso. “Il testo lascia molte domande senza risposta, per esempio su come gestire i progetti che i cui benefici rischiano di essere annullati: per esempio, stoccare la CO2 in un serbatoio naturale che potrebbe rilasciarla dopo qualche anno”, spiega Isa Mulder, che partecipa alla Cop29 di Baku per conto di Carbon Markets Watch. Se poi i rappresentanti dei popoli indigeni temono la “svendita” delle loro terre per la piantumazione di alberi, c’è anche chi paventa che nel calderone della compensazione della CO2 finiscano anche tecnologie sperimentali dalla resa ancora incerta.

Di tutto questo, però, non si è discusso. Il procedimento infatti è stato piuttosto irrituale, perché i due nuovi standard per il mercato dei carbon credits in realtà erano già pronti. Li avevano preparati nelle scorse settimane i tecnici dell’organismo di supervisione sul meccanismo dell’articolo 6.4, senza proporre – come si fa di solito – più versioni alternative tra cui scegliere. Questo ha velocizzato il processo ma, di fatto, ha drasticamente limitato lo spazio per il dibattito. A detta di Erika Lennon, avvocata per il Center for international environment law, questo rappresenta “un precedente pericoloso per l’intero processo negoziale”.

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