Macron, Biden, Modi, Lula, Scholz e von der Leyen sono solo alcuni dei leader globali che non partecipano alla Cop29 di Baku.
- Lunedì 11 novembre a Baku prende il via la Cop29, la ventinovesima Conferenza delle parti sul clima.
- La Papua Nuova Guinea decide di boicottarla per l’insufficiente impegno nella tutela delle foreste.
- Mancano all’appello parecchi leader dei paesi più ricchi e più responsabili del riscaldamento globale.
Il ministro degli Esteri Justin Tkatchenko l’aveva già definita come una “completa perdita di tempo”, ora il primo ministro James Marape dà la conferma: la Papua Nuova Guinea boicotta la Cop29, la Conferenza delle parti sul clima in programma dall’11 al 22 novembre a Baku, in Azerbaigian. O meglio, partecipa, ma con una delegazione ridotta e in aperta polemica con i paesi industrializzati.
L’atto d’accusa della Papua Nuova Guinea alla Cop29
La Papua Nuova Guinea ha un prodotto intero lordo (pil) di appena 30 miliardi di dollari (quello italiano supera i 2mila miliardi) ma, in compenso, custodisce un’immensa ricchezza di cui indirettamente beneficiamo tutti. Dopo l’Amazzonia e il Congo, infatti, la sua è la terza più grande foresta pluviale tropicale rimasta sul pianeta e ha dunque un ruolo essenziale per immagazzinare CO2. Su una superficie che non arriva all’1 per cento del totale delle terre emerse, la nazione ospita il 6-9 per cento della biodiversità terrestre.
Già a fine ottobre il ministro degli Esteri Justin Tkatchenko aveva annunciato la volontà di boicottare la Cop29 “fino a quando i grandi inquinatori non si daranno una regolata”. “Siamo della retorica e dei girotondi che negli ultimi tre anni non hanno portato assolutamente a nulla”, ha aggiunto, accusando le nazioni industrializzate di promettere grandi somme di denaro per la finanza climatica che però, alla fine, “vanno tutte ai consulenti”.
Il primo ministro James Marape, attraverso un comunicato diffuso nella giornata inaugurale della Conferenza sul clima, rimarca la dose. Non partecipa, ma invia una delegazione capeggiata dal ministro per l’Ambiente Simo Kilepa, con un obiettivo: candidare la Papua Nuova Guinea a ospitare la riunione del board del Fondo verde per il clima il prossimo anno. I paesi più responsabili delle emissioni, a suo dire, sarebbero molto in ritardo nell’applicare gli articoli 5 e 6 dell’Accordo di Parigi, incentrati sulla tutela dei “serbatoi di gas serra” (come le foreste) e sulla cooperazione internazionale per la riduzione delle emissioni. “Il dibattito sul clima è incompleto senza un’azione concreta per preservare le foreste pluviali del mondo”, conclude, auspicando che la Cop30 che si terrà in Brasile nel 2025 possa risultare più incisiva.
Chi non va a Baku
In termini storici, i primi responsabili in assoluto dell’aumento delle emissioni di gas serra in atmosfera sono gli Stati Uniti: da soli hanno generato un quarto delle emissioni cumulative dal 1751 al 2017. Il presidente in carica, Joe Biden, non partecipa però alla Cop29. Il suo successore Donald Trump ha già ritirato gli Stati Uniti dall’Accordo di Parigi e potrebbe farlo di nuovo.
Al secondo posto c’è l’Unione europea con il 22 per cento delle emissioni cumulative. Ma anche tra i leader politici del Vecchio Continente le assenze sono tante ed eccellenti: la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, il presidente francese Emmanuel Macron, il cancelliere tedesco Olaf Scholz, il primo ministro dei Paesi Bassi Dick Schoof. Per il Regno Unito (conteggiato in questo 22 per cento) c’è il premier Keir Starmer, ma non re Carlo III.
Sul terzo gradino del podio dei maggiori responsabili della crisi climatica c’è la Cina, ma anche Xi Jinping preferisce disertare l’appuntamento. Così come il presidente del Brasile Lula (per un problema di salute), il primo ministro australiano Anthony Albanese, il primo ministro del Canada Justin Trudeau, il primo ministro indiano Modi, il presidente del Sudafrica Cyril Ramaphosa, il presidente russo Vladimir Putin.
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