Cop29

Cop29 di Baku, c’è la seconda bozza sulla finanza: l’ambizione è ai minimi

Pubblicati i nuovi testi alla Cop29 di Baku. C’è la cifra di 1.300 miliardi di dollari, ma con un linguaggio molto vago e quindi debole.

Delle nuove bozze di lavoro, la penultima prima dei testi conclusivi, sono state pubblicate alla Cop29 di Baku. Tra queste, la più attesa: quella sul Nuovo obiettivo quantificato collettivo (New collective quantified goal, Ncqg), che appare sensibilmente diversa rispetto al testo che era stato pubblicato 24 ore prima.

Il testo “invita” a stanziare 1.300 miliardi, ma non “decide” chi debba farlo

Il documento è stato decisamente ridotto in termini di numero di pagine: l’ultima versione ne presenta soltanto cinque, contro le dieci precedenti. Non compaiono parentesi quadre, né opzioni: non ci sono, almeno apparentemente, punti di disaccordo sul testo pubblicato. Tale risultato, però, appare dipeso da una serie di evidenti compromessi.

Il dato che per primo balza agli occhi è il fatto che siano stati indicati, per la prima volta, gli ormai famosi 1.300 miliardi di dollari all’anno necessari per consentire alle nazioni del sud del mondo di mitigare i cambiamenti climatici e ad adattarsi ai loro impatti. La frase recita però letteralmente: “Invita tutti gli attori a lavorare insieme per aumentare i finanziamenti per l’azione climatica a favore dei paesi in via di sviluppo, da tutte le fonti pubbliche e private, per raggiungere almeno 1.300 miliardi di dollari all’anno di qui al 2035”.

La prima parola, “invita” (calls on, in inglese, traducibile anche come “prega” o “lancia un appello affinché”) davanti a “tutti gli attori” non era presente nella versione precedente del testo, nella quale al suo posto c’era un decisamente più perentorio “decide” (decides) in riferimento agli stati. Appare chiaro, insomma, che il linguaggio usato è volutamente nuovo e frutto di un compromesso al ribasso: i paesi sviluppati hanno accettato che fosse indicato un chiaro riferimento alla cifra, solo a patto di eliminare il riferimento a un obbligo, a vantaggio di un molto più blando invito aperto a tutti. Non si è neppure optato per un calls for, leggermente più forte nel linguaggio dei negoziatori.

“Tutti gli attori”, del resto, è una formula mai utilizzata in precedenza e che sembra volutamente vaga.

Solo 250 miliardi devono arrivare dai paesi ricchi

Tuttavia, al paragrafo successivo, si entra nel cuore del testo e si fa riferimento ad un’altra forma di stanziamento. E su questa, la parola “decide” è sopravvissuta ai negoziati. Il testo recita: “In questo contesto, decide di introdurre un obiettivo nel quale i paesi sviluppati saranno in prima linea, per raggiungere 250 miliardi all’anno, di qui al 2035, a favore dei paesi in via di sviluppo” per mitigazione e adattamento (senza specificare però le perdite e i danni, loss and damage, e senza dare un target specifico per lo stesso adattamento). Tuttavia, anche in questo caso un passo indietro c’è stato stato: mentre nei giorni scorsi si era parlato di stanziamenti pubblici, in questo caso al comma successivo (lettera “a”) si specifica che questi 250 miliardi dovranno arrivare “da una vasta varietà di fonti, pubbliche e private, bilaterali e multilaterali, incluse fonti alternative”.

In precedenza, al paragrafo 3, sono state indicate poi altre cifre. Il passaggio recita: “Evidenzia che i costi necessari per dare corpo alle Nationally determined contributions (le promesse di riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra avanzate dai governi, ndr) per i paesi in via di sviluppo sono stimate in 5.100-6.800 miliardi nel periodo che va fino al 2030, ovvero 455-584 miliardi di dollari all’anno”. e aggiunge poiché i costi invece legati all’adattamento “sono stimati in 215-387 miliardi di dollari all’anno”. In media, dunque, si parla di circa 800 miliardi all’anno. Non si tratta però, in alcun modo, di un impegno vincolante: il paragrafo comincia con la parola “evidenzia” (highlights), e non si specifica chi debba far fronte a tali spese.

Eliminati i riferimenti alle emissioni storiche e al pil pro-capite

È stato inoltre eliminato il riferimento ad una novità presente nel paragrafo 25 della precedente bozza, relativa ai cosiddetti burden-sharing arrangements. Si trattava di una formula che avrebbe consentito di “condividere il peso” dell’azione climatica basandosi su due parametri di riferimento: le emissioni storiche di gas ad effetto serra e sul Prodotto interno lordo pro-capite. Un modo per tenere conto della storia e degli equilibri economici internazionali, che però si è, appunto, deciso di cancellare.

Multilateralismo e diritti umani

Ci sono altri due aspetti che val la pena sottolineare. Tutta la parte precedentemente apprezzata e volta istituzionalizzare il lavoro fatto dal G20 che quest’anno ha tentato di unire gli spunti dei ministri di finanza e clima per creare una nuova piattaforma in grado di attrarre investimenti è qui ridotta ai minimi termini secondo quanto riportato da Eleonora Cogo, senior associate international finance del think tank Ecco. Mentre per la parte legata ai diritti umani, se ne parla in modo vago nel paragrafo 26 del documento che cita le varie categorie vulnerabili che dovrebbero essere le destinatarie preferite da questi fondi, tra cui “donne e ragazze, bambini, persone con disabilità, popoli indigeni, comunità locali, migranti e rifugiati, comunità vulnerabili dal punto di vista climatico e persone in condizioni di vulnerabilità, ma non c’è un esplicito riferimento a come rendere operativo il diritto all’accesso a questi fondi in modo prioritario. C’è solo un generico urges, ovvero si incoraggia in modo fermo gli stati a prendere azioni. Non abbastanza secondo quanto riportato da Erika Moranduzzo, responsabile clima e diritti dell’Italian Climate Network.

Le reazioni

“Il testo invita ‘tutti gli attori a collaborare per consentire un incremento del finanziamento ai paesi in via di sviluppo per l’azione climatica da tutte le fonti pubbliche e private ad almeno 1.300 miliardi di dollari all’anno entro il 2035’. E questo è coerente con la nostra analisi”, affermano gli autori del rapporto indipendente sulla finanza climatica Amar Bhattacharya, Vera Songwe e Nicholas Stern. “Il testo – proseguono gli esperti – invita inoltre i paesi sviluppati ad aumentare [rispetto ai 100 miliardi di dollari del Fondo verde per il clima, ndr] il loro supporto finanziario ai paesi in via di sviluppo a 250 miliardi di dollari all’anno entro il 2035. Questa cifra è troppo bassa e non coerente con la realizzazione dell’Accordo di Parigi. La nostra analisi mostra che il Ncqg dovrebbe impegnare i paesi sviluppati a fornire almeno 300 miliardi di dollari all’anno entro il 2030 e 390 miliardi di dollari all’anno entro il 2035. Riteniamo che questi obiettivi siano fattibili e richiederanno un aumento del finanziamento diretto bilaterale da parte dei Paesi sviluppati, un’ambizione molto maggiore da parte delle banche multilaterali di sviluppo e un miglioramento della mobilitazione dei finanziamenti privati”.

Dello stesso avviso anche il capo delegazione del gruppo di negoziatori africani, Ali Mohamed: “Il target proposto di mobilitare 250 miliardi di dollari all’anno entro il 2035 è totalmente inaccettabile e inadeguato per raggiungere gli obiettivi dell’Accordo di Parigi. Le necessità di adattamento ammontano a 400 miliardi di dollari; 250 miliardi porteranno a perdite di vite umane inaccettabili in Africa e nel resto del mondo, mettendo a rischio il futuro del nostro pianeta”.

La presidenza azera ha dato ulteriore tempo per colloqui tra le parti, e si attendono nelle prossime ore i risultati di tali negoziati. Il documento finale dovrebbe arrivare nella notte tra il 22 e il 23 novembre per poi essere discusso in plenaria nella giornata di sabato 23 novembre.

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