La digitalizzazione è il tema del 16 novembre alla Cop29 di Baku. Perché non possiamo farne a meno, anche nelle strategie climatiche.
- Alla Cop29 di Baku la giornata tematica del 16 novembre è dedicata alla digitalizzazione.
- Le nuove tecnologie hanno un impatto enorme in termini di emissioni.
- Al tempo stesso, gli strumenti digitali offrono grandi opportunità in termini di mitigazione e adattamento della crisi climatica.
Cosa faremmo se, da un momento all’altro, sparissero le tecnologie digitali? Ne abbiamo avuto un piccolo assaggio quando, a luglio, un singolo aggiornamento errato di un software ha paralizzato aeroporti, ospedali e Borse in tutto il mondo. Nell’arco di qualche decennio la digitalizzazione ha rivoluzionato il nostro sistema socio-economico e ogni dettaglio della nostra vita quotidiana. Ora può, anzi deve, assumere un ruolo consapevole di fronte alla più grande sfida che ci troviamo ad affrontare, la crisi climatica. È per questo che sabato 16 novembre il calendario della Cop29 di Baku prevede, per la prima volta, una giornata tematica dedicata alla digitalizzazione.
L’enorme impatto del digitale e dell’intelligenza artificiale sulle emissioni
Quando si parla di digitale e clima, di norma lo si fa per rimarcare i problemi, non le soluzioni. Per ragioni molto valide. Le duecento maggiori aziende del settore generano quasi l’1 per cento delle emissioni globali di gas serra e consumano quasi il 2 per cento dell’elettricità. O meglio, questa è la quantità che conosciamo, perché una larga fetta sfugge ancora alle misurazioni: mancano quasi del tutto all’appello le emissioni Scope 3, cioè quelle indirette generate nella catena di fornitura. Da sole, le prime dieci arrivano al 55 per cento delle emissioni e al 51 per cento dei consumi dell’intero campione; di questo gruppo fanno parte per esempio Amazon, Samsung, Microsoft, Alphabet (la holding di Google). Lo fa sapere il Greening digital companies report 2024 redatto dall’Unione internazionale delle telecomunicazioni, un’agenzia che fa capo alle Nazioni Unite.
Ed è vero che alcune di queste aziende si sono impegnate ad acquistare energia cento per cento rinnovabile, oppure lo stanno già facendo (la prima della lista è Amazon). Ma è vero anche che dal 2010 il traffico di dati si è moltiplicato per 25, i rifiuti elettronici sono aumentati dell’82 per cento e, soprattutto, l’avvento dell’intelligenza artificiale ha sostanzialmente cambiato gli ordini di grandezza. Per gli smisurati consumi dei data center, Google ha smesso di definirsi carbon neutral. Ed è in buona compagnia: anche Microsoft ha rendicontato un balzo in avanti delle emissioni pari al 30 per cento in soli tre anni. Non bisogna però pensare che sia solo un problema dei grandi colossi, perché anche l’impatto della vita quotidiana di ciascuno di noi cambia sensibilmente. Se una ricerca su Google emette 0,2 grammi di CO2, la stessa ricerca su ChatGPT ne genera 4,32 grammi.
Cosa dice la Dichiarazione sull’azione digitale verde
Mitigare l’impatto della digitalizzazione sul clima significa quindi incrementare l’efficienza energetica delle infrastrutture e dei dispositivi, alimentarli con energia pulita, sforbiciare le emissioni lungo la catena del valore, estendere il ciclo di vita dei prodotti, migliorare i sistemi di riciclo e gestione dei rifiuti elettronici. E trovare metriche e indicatori più affidabili per misurare l’impatto di tutte queste azioni. Questo è uno degli impegni previsti dalla Dichiarazione sull’azione digitale verde, presentata dalla presidenza della Cop29 proprio durante la giornata tematica sulla digitalizzazione, il 16 novembre.
Il documento è aperto all’adesione di governi nazionali, aziende, organizzazioni internazionali, enti filantropici, istituti finanziari, enti accademici e organizzazioni della società civile. Oltre a questo punto ne prevede altri sette, tra cui lo scambio di conoscenze, la promozione di abitudini consapevoli tra le persone, l’inclusione digitale. Ma il primo, quello che forse più di ogni altro apre nuovi orizzonti, prevede proprio di considerare le tecnologie digitali come alleate dell’azione per il clima.
Quando i dati aiutano ad affrontare la crisi climatica
Esistono già iniziative che vanno in questa direzione. È il caso di OS-Climate, un progetto open source promosso dalla Linux Foundation nel quale alcune grandi aziende internazionali hanno unito le proprie risorse e condiviso dati strategici per creare framework previsionali avanzati sugli impatti climatici. “Nessuna azienda o istituzione, da sola, possiede la quantità e la varietà di dati necessari per sviluppare nuovi algoritmi previsionali in grado di stimare con precisione gli effetti del cambiamento climatico sui nostri territori”, spiega Danilo Perrucci, head of sustainability & energy management global department di Bip, società di consulenza che ha aderito al progetto attraverso gli esperti del proprio Centro di Eccellenza Sostenibilità.
Da qui l’idea di una piattaforma collaborativa che raccoglie e rende accessibili dati climatici, economici e finanziari da diverse fonti. Proprio macinando questi numeri, il sistema sviluppa strumenti capaci di valutare i rischi fisici (legati per esempio alla probabilità e alla gravità degli eventi meteo estremi nelle singole aree geografiche) e di pianificare le strategie di adattamento, per tutelare le aziende e le comunità in cui si insediano. Tutto questo ha ripercussioni anche in ambito finanziario, perché permette a banche e investitori di valutare l’esposizione dei loro portafogli ai rischi climatici. E, così, di fare scelte più oculate.
Così la digitalizzazione aiuta l’azione per il clima
Con un clima che è già cambiato ed è capace di sconvolgere da un giorno all’altro la vita di intere comunità – l’abbiamo visto a Valencia e in Emilia-Romagna nell’arco di poche settimane – scontiamo ancora un forte ritardo proprio sul fronte dell’adattamento. Un termine ombrello che racchiude i vari strumenti per limitare i danni e salvare le vite. Anche qui che le nuove tecnologie, applicate nei modi e nei contesti giusti, possono fare la differenza. Come i droni, equipaggiati con telecamere, sensori e gps per rilevare anomalie meteorologiche, raccogliere dati (per esempio sullo stato delle risorse idriche), sorvolare le zone colpite dai disastri naturali per identificare le persone in difficoltà. Oppure supercomputer e computer quantistici, capaci di lavorare sui modelli meteo in modo molto più sofisticato rispetto ai computer tradizionali.
Parlando di modelli, che di fatto sono simulazioni informatiche realizzate combinando un’enorme quantità di dati, non si può non menzionare l’intelligenza artificiale. Che, di fatto, fa proprio questo: elabora i dati con una velocità e una precisione altrimenti impossibili. Esistono già startup che, installando sensori nei boschi, riescono a captare le prime variazioni nell’aria che fanno presagire l’arrivo di un incendio. I modelli di machine learning, suggerisce un rapporto del World economic forum, non si limitano a dire se una specifica zona sia per esempio a rischio di uragani, ma anche a quantificare questo rischio e le potenziali perdite per un’azienda che proprio lì ha un fornitore. Insomma, la digitalizzazione può aiutarci, come società, a fare ciò che finora per inerzia o per paura abbiamo preferito evitare: guardare in prospettiva.
LifeGate segue i negoziati sul clima insieme agli esperti del “Centro di Eccellenza Sostenibilità” di Bip.
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