La crisi climatica ha avuto conseguenze enormi sugli ecosistemi marini: lo dimostra il Rapporto sullo stato degli oceani di Copernicus.
- Il programma europeo Copernicus marine ha pubblicato la nuova edizione del Rapporto sullo stato degli oceani.
- Le acque si riscaldano sempre più velocemente e questo ha conseguenze sulla fisica degli oceani, sui loro processi biogeochimici e sulla vita marina.
- Nel 2023 l’80 per cento della superficie degli oceani ha subito un’ondata di calore marina; per il 22 per cento è stata di grado “severo” o “estremo”.
- Sempre nel 2023, il ghiaccio marino ai Poli ha toccato la sua estensione minima.
- Il rapporto di Copernicus pone molta enfasi sul ruolo dell’innovazione tecnologica per il futuro degli oceani e delle comunità costiere.
Gli oceani si riscaldano sempre più velocemente, ai Poli il ghiaccio il ghiaccio marino rimasto è sempre meno, le ondate di calore marine stanno diventando la norma. L’ultimo Rapporto sullo stato degli oceani di Copernicus descrive una situazione che di normale non ha nulla. Ma cerca di dare anche un barlume di speranza guardando al futuro, perché esistono alcune tecnologie che possono aiutarci, almeno in parte, a mitigare l’impatto della crisi climatica e rendere gli oceani più resilienti.
Cos’è il Rapporto sullo stato degli oceani di Copernicus
Il Rapporto sullo stato degli oceani è una pubblicazione annuale del programma europeo Copernicus marine, redatta dall’istituto di ricerca Mercator ocean international. Di fatto, raccoglie le conoscenze scientifiche più aggiornate che abbiamo a disposizione sulle condizioni dei mari europei e degli oceani a livello globale, con l’ambizione di essere un punto di riferimento per la comunità scientifica, gli enti nazionali e internazionali, i decisori politici, gli attori della cosiddetta blue economy e la cittadinanza. Le variabili osservate sono suddivise in tre grandi categorie: lo stato fisico dell’oceano (oceano blu), i parametri biogeochimici (oceano verde) e il ghiaccio marino ai Poli (oceano bianco).
Gli oceani sono bollenti a causa delle attività umane
Le emissioni di gas serra di origine antropogenica hanno interferito con l’equilibrio energetico della Terra, cioè il bilanciamento tra il calore emanato dal sole e quello rilasciato al di fuori dell’atmosfera. Con il cosiddetto effetto serra, infatti, il calore resta intrappolato. E, su tutte le componenti del sistema climatico della Terra (atmosfera, idrosfera, geosfera, criosfera e biosfera), gli oceani sono quelli che ne assorbono di più. Per la precisione, immagazzinano quasi il 90 per cento del calore in eccesso generato dalle attività dell’uomo.
Con l’incessante crescita delle emissioni di gas serra, dunque, anche il riscaldamento degli oceani è aumentato, a un tasso che dagli anni Sessanta in poi si è attestato sugli 0,58 watt per metro quadrato ma, a partire dal 2005, è quasi raddoppiato raggiungendo gli 1,05 watt per metro quadrato. Un incremento che riguarda tutte le zone del mondo, seppure con intensità differenti. Questo a sua volta ha conseguenze a catena sulla fisica degli oceani, sui loro processi biogeochimici e sulla vita marina, ma anche sul sistema climatico nel suo insieme.
Le ondate di calore marine sono sempre più frequenti
Nel 1982, il 50 per cento della superficie globale degli oceani aveva subito un’ondata di calore marina. Nel 2023 tale percentuale è arrivata all’80 per cento, con il 22 per cento che ne aveva sperimentata almeno una di grado “severo” o “estremo”. Fino alla metà degli anni Duemila, l’estensione regionale e la durata massima media annua delle ondate di calore marine erano rimaste pressoché stabili. A partire dal 2008, entrambi questi dati sono raddoppiati. Passando rispettivamente dal 20 al 40 per cento e da 20 a 40 giorni. Nel 2022, hanno colpito più dei due terzi dell’estensione del mar Baltico. Sempre nello stesso anno, nel Mediterraneo, un’ondata di calore marina è arrivata fino a 1.500 metri di profondità.
Il problema è che le ondate di calore marine provocano morìe di massa degli organismi marini, costringono le specie a migrare, facilitano l’avvento delle specie aliene invasive, hanno un impatto devastante sugli ecosistemi. E, così facendo, mettono in difficoltà la pesca e quindi la sicurezza alimentare di varie regioni del mondo. Ci sono anche zone in cui, per via di queste ondate di calore, gli strati dell’oceano non riescono più a mescolarsi e quindi a distribuire in modo ottimale i nutrienti.
Il ghiaccio marino ai Poli tocca i suoi minimi storici
Se l’acqua è sempre più calda, è inevitabile che il ghiaccio marino fonda. Il Rapporto sullo stato degli oceani di Copernicus tiene traccia del suo andamento dal 1979 al 2023, anno in cui ha raggiunto la sua estensione minima nelle regioni polari. L’Artico, in particolare, in questi 44 anni ha perso quasi 2,2 milioni di chilometri quadrati di ghiaccio marino: se fosse uno stato, sarebbe all’undicesimo posto nella classifica dei più grandi del mondo. Sempre nel 2023, l’estensione massima del ghiaccio marino nell’Antartide è stata appena di 16,8 milioni di chilometri quadrati: le osservazioni satellitari non avevano mai registrato un dato così basso prima di allora. Rispetto alla media del periodo 1993-2010, la perdita è di 1,9 milioni di chilometri quadrati: tre volte la superficie di uno stato come la Francia.
Le tecnologie che possono aiutare il futuro degli oceani
In sintesi, la crisi climatica innescata dall’uomo ha conseguenze sugli oceani che sono gravi, tangibili, evidenti. Ma abbiamo ancora la possibilità di riparare, almeno in parte, i danni che abbiamo provocato. Innanzitutto abbattendo le emissioni di gas a effetto serra, per rallentare l’aumento della temperatura media della Terra. Ma anche investendo nell’innovazione tecnologica.
Il Rapporto sullo stato degli oceani di Copernicus cita per esempio la baia della capitale estone Tallinn, sul mar Baltico, dove si potrebbe usare l’energia termica dell’acqua di mare per alimentare impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili. Durante l’inverno, quando gli strati superficiali del mare diventano troppo freddi, si può pompare acqua di mare leggermente più calda dagli strati più profondi: in questo senso, le città affacciate sul mar Baltico godono di una posizione favorevole.
Un altro degli esempi riportati da Copernicus riguarda un territorio completamente diverso: il porto di Melilla, territorio autonomo spagnolo sulla costa settentrionale del Marocco. In seguito a una violenta tempesta verificatasi nel 2022, i ricercatori hanno ricostruito i cambiamenti nell’altezza delle onde e negli assetti atmosferici nei tre decenni precedenti. Scoprendo che, tra il 1993 e il 2022, gli eventi estremi sono diventati più intensi e il loro tempo di ritorno si è più che dimezzato, passando da 53 a 25 anni. Sono dati allarmanti, senza dubbio. Ma conoscerli dà la possibilità di lavorare sull’adattamento, intervenendo sulle strutture portuali per renderle più resilienti e mettendo in campo sistemi di allerta preventiva.
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