- Il caldo ha fatto annullare molte gare di Coppa del mondo di sci.
- Il riscaldamento globale sta colpendo lo sci alpino come sport, con gravi conseguenze per gli atleti e le comunità montane.
- Tra le possibili soluzioni: ridurre il numero della gare, togliendo alcune località dal calendario.
Quando parliamo di impatto del riscaldamento globale sullo sci, non si tratta di una questione di se o di quando. Si tratta di come. Bisogna chiedersi quanto gli effetti dell’aumento delle temperature pesino su questo sport, perché ormai ogni stagione di Coppa del mondo di sci è diventata uno slalom tra gare cancellate, rinviate e mai più disputate.
Tutto a causa della crisi climatica che rende la neve, anche ad alta quota, un elemento sempre più raro e instabile.
Lo sci, più di ogni altro sport, subisce sulla propria pelle gli effetti del riscaldamento globale, con l’acqua che prende il posto della neve e obbliga gli organizzatori dell’evento a cancellare gare che poi e spesso non c’è modo di recuperare.
In montagna non c’è più neve. E questo ha delle gravi conseguenze su molti piani: dagli atleti, che perdono la possibilità di competere, alla stessa Coppa del mondo di sci, che ha meno gare da vendere alle televisioni; ma non bisogna dimenticare poi gli impatti negativi che l’annullamento delle gare ha sulle comunità montane, che influiscono sul giro d’affari e, ultimo ma non in ordine di importanza, sullo stato di salute delle montagne e della biodiversità.
Le gare cancellate della Coppa del mondo di sci
Nella stagione 2023-2024, il numero delle gare di Coppa del mondo cancellate per il caldo sulle piste (o per altri fattori climatici, come la nebbia) è stato molto alto: ventuno, da dicembre a marzo, dodici per gli uomini e otto per le donne. Di queste, soltanto cinque sono state poi recuperate, le altre quindici invece sono state annullate in via definitiva.
Tenendo conto che il calendario della Coppa del mondo prevede 90 gare stagionali, 45 per ogni genere, il tasso di eventi annullati o cancellati è altissimo. Un problema che non è certo nuovo, ma che sta condizionando le ultime stagioni sciistiche. E così sarà anche per le prossime, come dimostra il fatto che i mesi di gennaio e febbraio 2024 sono riusciti a essere ancora più torridi di quelli del 2023 e che, a loro volta, avevano fatto registrare temperature record. Secondo i dati dell’istituto Copernicus infatti, dicembre 2023, gennaio e febbraio 2024 sono stati i mesi più caldi mai registrati da quando sono cominciate le rilevazioni; inoltre, prendendo soltanto il caso delle Alpi trentine, durante l’ultimo inverno ci sono state temperature più alte di 4,1 gradi Celsius rispetto alla media del periodo.
Un problema che non riguarda solo le Alpi italiane, ma riguarda ogni catena montuosa del mondo: le gare sono saltate in Austria, in Francia, nei Balcani e anche negli Stati Uniti.
Gli infortuni e i risultati assurdi delle gare
Tutto questo porta con sé alcuni effetti evidenti, come gli infortuni degli atleti e alcuni risultati della gare che non rispettano in alcun modo il valore dei singoli atleti. Da questo punto di vista, ha già fatto storia la clamorosa impresa realizzata dallo sciatore svizzero Daniel Yule nella seconda manche dello slalom di Chamonix dello scorso 4 febbraio.
Yule, che partiva con con il numero 30, ha affrontato la discesa per primo, proprio poiché nelle manche precedenti della gara era stato il più lento. Dopo la sua discesa, la temperatura ha cominciato a salire vertiginosamente, facendo sciogliere la neve e rendendo così le condizioni della pista estreme, per chi è partito dopo di lui. Così, proprio per via del caldo, nessuno è riuscito ad andare più veloce di Yule, che ha vinto la manche realizzando il record di rimonta: mai nessuno era riuscito a trionfare in una gara partendo per primo, cioè per ultimo.
Questo risultato, che certamente ha fatto felice Yule, ha palesato ancora una volta quanto l’impatto del riscaldamento globale possa essere distorsivo per questo sport. Oltre a generare risultati mai visti, questa situazione sta diventando sempre di più pericolosa per le sciatrici e gli sciatori.
Mai come quest’anno tantissimi atleti e atlete sono incappati in gravi cadute durante la stagione. Un elemento che colpisce soprattutto per il grande livello delle personalità coinvolte: su tutte e tutti, la campionessa italiana Sofia Goggia, che si è rotta tibia e malleolo tibiale della gamba destra, ma anche campionesse come Mikaela Shriffin, Petra Vlhova e Valérie Grenier hanno dovuto affrontare e superare pesanti infortuni a causa delle cadute in gara o in allenamento.
Quale futuro per lo sci alpino?
Per ora, gli organizzatori della Coppa del mondo di sci non stanno rispondendo con prontezza alla situazione. Il principale antidoto contro il caldo e la mancanza di neve è rappresentato attualmente dai cannoni che sparano neve artificiale. Tuttavia, se questi strumenti sembrano utili per arginare la gravità nel breve periodo, non rappresentano certamente una soluzione in grado di risolvere il problema.
La neve artificiale, per attecchire al terreno, ha bisogno di temperature sotto lo zero, cosa che è sempre più eccezionale in montagna. Inoltre, per far funzionare i cannoni serve molta elettricità e, quindi, in assenza di impianti alimentati a energia rinnovabile, questo comporta una grande quantità di emissioni di gas serra in atmosfera, alimentando il circolo vizioso. Non va poi dimenticato che il processo di creazione della neve artificiale si basa sull’utilizzo di diversi additivi chimici che contengono tensioattivi e fungicidi. Quando la neve si scioglie, restano nel terreno, inquinando l’acqua dei fiumi e, di conseguenza, l’habitat montano.
Quindi, che fare?
È evidentemente che il problema vada affrontato alla radice, ripensando totalmente il sistema. E questo vale sia sotto il punto di vista agonistico che per tutto il turismo sciistico. La prima ipotesi è diminuire il numero delle gare e lasciare dei weekend liberi, cosa che permetterebbe agli sciatori di recuperare meglio ed evitare infortuni, oltre ad avere più spazio in calendario per riprogrammare le gare annullate.
Un numero inferiore di gare, però, diminuirebbe il valore economico della Coppa del mondo, indebolendo così tutto il sistema che ruota attorno allo sci. Un’altra ipotesi è quella di far slittare l’inizio della stagione, spostandola da fine ottobre, come succede adesso, a dicembre, per terminare poi ad aprile invece che a fine marzo. Questo potrebbe risolvere il problema legato all’incertezza che caratterizza soprattutto le gare della prima parte dell’anno, ma comunque rischierebbe di spostare semplicemente il problema nella seconda metà, data la possibilità di registrare temperature quasi estive già nel mese di aprile.
Infine, c’è chi suggerisce di competere solo in quelle località che in questi anni hanno evidenziato di patire meno i cambiamenti climatici: questo darebbe alcune garanzie in termini di gare disputate, ma avrebbe gravi conseguenze economiche su quelle località che verrebbero escluse e che invece dipendono molto, per la propria economia interna, dagli introiti che vengono generati dalle gare di Coppa del mondo.
Di certo, è arrivato il momento di agire e di intervenire per salvare lo sci, le sue gare, ma soprattutto le montagne. È arrivato il momento di chiedersi se stiamo assistendo alle ultime stagioni di Coppa del mondo, per come le conosciamo.
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