Le autorità danesi impongono una strage di visoni per fermare il coronavirus negli allevamenti. Intanto, anche in Italia vengono scovati i primi focolai.
Si apre un altro fronte nella difficoltosa lotta alla pandemia da coronavirus: quello degli allevamenti intensivi di animali da pelliccia. Dai Paesi Bassi alla Spagna, fino ai numeri record della Danimarca, sono già milioni i visoni che sono stati soppressi nel vano tentativo di fermare i focolai che si sono innescati negli allevamenti. Un problema che – ora è ufficiale – tocca anche l’Italia, dove si rafforza l’appello a chiudere queste strutture una volta per tutte.
Danimarca, saranno soppressi 17 milioni di visoni
In Danimarca il piano di abbattimento dei visoni sta assumendo dimensioni drammatiche. Dopo la scoperta di decine di focolai di coronavirus, a metà ottobre le autorità sanitarie hanno disposto di uccidere non solo quelli contagiati, ma anche quelli che vivevano nello stesso allevamento e addirittura nell’arco di 8 chilometri di distanza, anche se sani. Già con questi criteri sarebbe stato coinvolto un milione di animali.
Nell’arco di appena venti giorni i focolai si sono moltiplicati, tant’è che mercoledì 4 novembre se ne contavano 207, su un totale di circa 1.100 allevamenti. In quella data la prima ministra Mette Frederiksen ha annunciato in conferenza stampa una misura draconiana: i visoni sono da considerare come una minaccia per la salute pubblica e vanno quindi soppressi, dal primo all’ultimo. In Danimarca, che è il primo allevatore in Europa, ciò significa sacrificare 17 milioni di capi.
Gli allevamenti di visoni sono una minaccia sanitaria
Avendo recettori di membrana molto simili a quelli umani, chiarisce una nota del Wwf, anche i visoni (alla pari dei furetti) possono essere colpiti dal coronavirus. Ed è proprio ciò che è successo negli allevamenti danesi, dove alcuni operatori positivi hanno innescato il contagio. Contenerlo però risulta quasi impossibile, considerato che gli animali sono stipati a migliaia in spazi ristretti.
Così facendo si sono verificati due salti di specie, dall’uomo all’animale e di nuovo dall’animale all’uomo. In queste circostanze, però, il virus muta: e il ceppo che è stato isolato nei visoni (e poi riscontrato anche nella popolazione dello Jutland settentrionale) mostra una ridotta sensibilità agli anticorpi. Il rischio, paventato apertamente anche dalla premier, è che la diffusione di tale mutazione comprometta lo sviluppo del vaccino.
#EMERGENZAVISONI petizione per chiedere al Ministro @robersperanza di chiudere subito gli 8 allevamenti di visoni ancora attivi in Italia: crudeli per gli animali, pericolosi per l'uomo. Evidenze scientifiche dimostrano rischi sanitari anche per #COVID19https://t.co/FetYZgenBG
Finora sono sei gli Stati che hanno segnalato casi di coronavirus negli allevamenti di visoni all’Organizzazione mondiale della sanità animale (Oie). Oltre alla Danimarca, ci sono Paesi Bassi, Spagna, Svezia, Stati Uniti e Italia. Lo fa sapere l’Organizzazione mondiale della sanità, tramite una nota pubblicata venerdì 6 novembre.
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“Stiamo toccando con mano come tutto quello che di sbagliato facciamo al pianeta, agli ecosistemi e agli altri animali, ci ritorna contro, mandando in crisi le nostre vite”, dichiara Isabella Pratesi, direttore conservazione del Wwf Italia. Dalla Lav (Lega anti vivisezione) all’Oipa (Organizzazione internazionale protezione animali), dal Wwf Italia a Essere animali, le organizzazioni animaliste sono compatte nel chiedere di chiudere per sempre gli otto allevamenti di animali da pelliccia rimasti nel nostro paese. Stando all’ultimo report della Lav, pubblicato nel 2016, tra Lombardia, Veneto, Emilia Romagna e Abruzzo si allevano circa 180mila visoni, su un totale europeo di oltre 41 milioni.
In Africa solo 15 stati hanno vaccinato il 10 per cento della popolazione entro settembre, centrando l’obiettivo dell’Organizzazione mondiale della sanità.
I cani sarebbero più affidabili e veloci dei test rapidi per individuare la Covid-19 nel nostro organismo. E il loro aiuto è decisamente più economico.
L’accesso ai vaccini in Africa resta difficile così come la distribuzione. Il continente rappresenta solo l’1 per cento delle dosi somministrate nel mondo.
La sospensione dei brevetti permetterebbe a tutte le industrie di produrre i vaccini, ma serve l’approvazione dell’Organizzazione mondiale del commercio.