Mentre l’Oms segnala quasi 308mila nuovi casi in 24 ore, arrivano giudizi severi sulla gestione della pandemia. E a Oxford riprendono i test del vaccino.
Con 307.930 contagi da coronavirus accertati in ventiquattr’ore, domenica 13 settembre segna un nuovo record assoluto. Il precedente picco risale al 6 settembre, quando sono stati segnalati 306.857 nuovi casi. È quanto emerge dal monitoraggio dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms). A partire dallo scoppio della pandemia sono stati confermati oltre 28,8 milioni di casi in tutto il mondo, per un totale di 921.801 decessi. Intervistato dall’agenzia Afp, il direttore regionale per l’Europa dell’Oms Hans Kluge avverte: dopo diversi mesi in cui nel Vecchio Continente i casi aumentano ma il numero di decessi rimane stabile, tra ottobre e novembre ci si aspetta che la mortalità torni a crescere.
#UPDATE World Health Organization expects Europe to see a rise in the daily number of Covid-19 deaths in October and November.
"It's going to get tougher. In October, November, we are going to see more mortality," @WHO Europe director Hans Kluge warns pic.twitter.com/q2bnB6Hkrh
Durissimo il giudizio del Global preparadness monitoring board (Gpmb), l’organo indipendente di monitoraggio istituito dalla stessa Organizzazione mondiale della sanità insieme alla Banca mondiale. Già lo scorso anno l’ente aveva sollevato l’attenzione su quanto la comunità internazionale non fosse pronto ad affrontare l’eventualità di una pandemia, ritenuta estremamente probabile. Ora che l’allarme si è rivelato fondato, ritiene che la risposta globale alla Covid-19 sia stata “un fallimento collettivo nel prendere sul serio la prevenzione, la preparazione e la risposta alle pandemie, e a farne una priorità”. Queste parole si leggono nel report intitolato “Un mondo in disordine”, pubblicato il 14 settembre.
In molti paesi, spiegano gli esperti tramite una nota, “i leader hanno faticato a intervenire in modo rapido e decisivo sulla base delle evidenze scientifiche e delle best practice”. Ne è derivata una profonda e crescente sfiducia che compromette ulteriormente la capacità di rispondere all’emergenza. Il presupposto fondamentale per l’efficacia di qualsiasi strategia di contenimento, infatti, è che i cittadini la adottino con convinzione. La pandemia, prosegue il report, ha messo in luce anche la debolezza della cooperazione multilaterale, esacerbata dalle tensioni geopolitiche. “I virus non rispettano i confini. L’unica via d’uscita da questa pandemia devastante si trova sul cammino dell’azione collettiva, che richiede un sistema multilaterale forte ed efficace”, afferma la copresidente del Gpmb Gro Harlem Brundtland.
Come risultato, ci troviamo a pagare un costo esorbitante a livello sanitario e umano. Ma anche economico, con 11mila miliardi di dollari già spesi per affrontare l’emergenza e la prospettiva di un impatto di 10mila miliardi di dollari, che ricadrà per decenni soprattutto sulle spalle dei più giovani. Considerato che “questa non sarà l’ultima emergenza sanitaria globale”, “il mondo non può permettersi di essere nuovamente impreparato”.
Riprende la sperimentazione del vaccino di Oxford
Arriva una nota di ottimismo da Oxford, dove lo Jenner Institute dell’Ateneo e la casa farmaceutica AstraZeneca sono da tempo al lavoro sullo sviluppo del vaccino ChAdOx1 nCoV-19. Dopo i risultati incoraggianti delle prime due fasi della sperimentazione e l’avvio della terza fase, il 9 settembre i test erano stati bloccati a seguito della reazione avversa manifestata da un paziente. Si tratta di una procedura standard, necessaria per indagare a dovere sulle cause.
Dopo tre giorni di stop e il via libera da parte di una commissione indipendente e dell’autorità britannica per la regolamentazione dei farmaci, sabato 12 settembre l’università ha fatto sapere che la sperimentazione può continuare in sicurezza. I volontari coinvolti sono circa 30mila tra Stati Uniti, Regno Unito, Brasile e Sudafrica. Ad oggi il vaccino di Oxford è ritenuto uno dei più promettenti sui circa 180 che sono in via di elaborazione.
In Africa solo 15 stati hanno vaccinato il 10 per cento della popolazione entro settembre, centrando l’obiettivo dell’Organizzazione mondiale della sanità.
I cani sarebbero più affidabili e veloci dei test rapidi per individuare la Covid-19 nel nostro organismo. E il loro aiuto è decisamente più economico.
L’accesso ai vaccini in Africa resta difficile così come la distribuzione. Il continente rappresenta solo l’1 per cento delle dosi somministrate nel mondo.
La sospensione dei brevetti permetterebbe a tutte le industrie di produrre i vaccini, ma serve l’approvazione dell’Organizzazione mondiale del commercio.