Le amministrazioni pubbliche possono decidere di vietare a tutti i suoi dipendenti di indossare simboli religiosi, anche se non a contatto con il pubbblico
Le autorità pubbliche degli Stati membri possono vietare ai dipendenti di indossare simboli religiosi di qualsiasi fede, come l’hijab islamico, secondo l’ultima decisione su una questione che ha diviso l’Europa per anni, presa dalla Corte di giustizia dell’Unione europea (Cgue) il 28 novembre.
Il caso è giunto alla Corte dopo che a una dipendente del comune belga orientale di Ans è stato detto che non poteva indossare l’hijab sul posto di lavoro. Secondo la Corte, gli uffici pubblici hanno un legittimo interesse alla creazione di un ambiente “neutrale” al loro interno, ma sottolinea che questo genere di divieti devono essere ridotti “al minimo necessario” e non possono essere discriminatori: è possibile vietare il velo islamico solo, e solo se, sono vietati tutti i simboli religiosi.
La sentenza ha stabilito, inoltre, che è legittima anche la scelta opposta, ossia di non imporre agli impiegati pubblici alcuna limitazione al portare simboli religiosi.
Il caso di una dipendente musulmana
A una dipendente del comune belga di Ans (Belgio), che svolge la sua funzione di responsabile dell’ufficio principalmente senza contatto con gli utenti del servizio pubblico, è stato vietato indossare l’hijab sul luogo di lavoro.
Poco dopo, nel 2021, il Comune ha modificato il proprio regolamento di lavoro e attualmente richiede ai propri dipendenti di osservare una rigorosa neutralità: è vietata qualsiasi forma di proselitismo e non è consentito indossare segni vistosi della propria appartenenza ideologica o religiosa ai dipendenti, non solo per chi è a contatto con il pubblico.
La dipendente ha deciso così di ricorrere alla Corte sostenendo sia stata violata la sua libertà di professione religiosa e di aver subito discriminazione su base religiosa.
Le Corti europee e l’hijab
Questa è l’ultima di una serie di sentenze che hanno coinvolto la Corte di Giustizia dell’Unione e la Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu) negli ultimi vent’anni, relativamente al velo islamico e ai simboli religiosi in generale.
Nel marzo 2017, in relazione a due casi in Belgio e in Francia riguardanti donne musulmane licenziate dopo essersi rifiutate di togliere il velo, la Corte di Giustizia ha stabilito che il regolamento interno di un’azienda può, a determinate condizioni, prevedere il divieto di indossare in modo visibile simboli religiosi o politici.
Anche nella più recente sentenza del luglio del 2021, la Corte di Giustizia ha ribadito che il datore di lavoro può vietare per esigenze lavorative il velo islamico, in un caso riguardante due dipendenti musulmane impiegate in una società tedesca.
La tradizione della Cedu in merito alla questione dell’hijab è la stessa della Corte di Giustizia. In ogni caso analizzato dalla Corte a partire dal primo del 2001, il caso Dahlab vs Svizzera, Strasburgo ha sempre rigettato le richieste delle ricorrenti in favore degli Stati, sostenendo che l’hijab sia un “potente simbolo estero”. La Corte è spesso stata accusata di doppio standard perché, se da un lato ha sempre accolto il divieto ad indossare il velo islamico, non si può dire lo stesso di altri simboli religiosi, come il crocifisso, come ad esempio nel caso Eweida e Altri c. Regno Unito.
La sentenza di ieri, però, apre le porte a un divieto più limitato, e meno discriminatorio: non si parla solo di “potente simbolo esterno”, ma il divieto, se la pubblica amministrazione dovesse decidere di imporlo, deve valere per tutti i simboli, non più solo per l’hijab.
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