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Una Corte olandese annulla la sentenza su Shell ma dice che le sue emissioni devono diminuire
Pur annullando la sentenza del 2021, la Corte conferma che Shell ha la responsabilità di ridurre le proprie emissioni in base alla legge sui diritti umani.
- La Corte di secondo grado olandese accoglie il ricorso di Shell presentato dalle organizzazioni della società civile nel 2019.
- La sentenza di primo grado aveva imposto a Shell di ridurre le proprie emissioni del 45 per cento entro il 2030.
- Non esiste un consenso scientifico che stabilisca una percentuale di riduzione specifica da applicare a singole aziende come Shell.
La Corte d’appello olandese ha recentemente annullato la sentenza del 2021 presentata dal movimento Milieudefensie che imponeva a Shell di ridurre le proprie emissioni del 45 per cento entro il 2030. Tuttavia, ha riconosciuto la responsabilità di tutte le grandi aziende, inclusa Shell, di abbattere le emissioni in base alle normative sui diritti umani. Questa nuova pronuncia ribadisce l’obbligo di ridurre le emissioni dirette, derivate dalle operazioni aziendali (scope 1 e 2) e segnala che l’esplorazione di nuovi giacimenti di petrolio e gas è in conflitto con gli obiettivi dell’Accordo di Parigi.
Perché la sentenza è stata annullata
La pronuncia della Corte d’appello olandese è la risposta al ricorso di Shell, presentato in seguito alla storica sentenza della corte distrettuale dell’Aia, emanata mercoledì 26 maggio. La causa era stata intentata nel mese di aprile del 2019 da una coalizione di organizzazioni ambientaliste – Friends of the Earth Paesi Bassi, Greenpeace Paesi Bassi, ActionAid, Both Ends, Fossielvrij Nl, Jongeren Milieu Actief e Waddenvereniging – per conto di 17.379 cittadini. Le argomentazioni ruotavano attorno all’Accordo di Parigi sul clima che prevede di contenere l’aumento delle temperature medie globali entro i 2 gradi centigradi rispetto ai livelli industriali, facendo tutto il possibile per non sforare gli 1,5 gradi. Continuando a investire miliardi per la produzione di energia da fonti fossili, sostengono i legali, Shell infrange il suo dovere di diligenza e viola i diritti umani.
La Corte d’Appello ha annullato la sentenza poiché l’accusa non è riuscita a dimostrare che Shell abbia l’obbligo di ridurre le proprie emissioni di CO2 del 45 per cento per rispettare i requisiti di due diligence sociale aziendale. Al momento, infatti, non esiste un consenso scientifico che stabilisca una percentuale di riduzione specifica da applicare a singole aziende come Shell.
Ma non è un favore a Shell
Non tutto è perduto. Nell’annullare la sentenza, la Corte d’appello ha comunque sottolineato che le normative vigenti (come la direttiva dell’Ue sulla due diligence relativa alla sostenibilità aziendale) già impongono alle imprese di adottare misure di riduzione delle emissioni e ha lasciato aperta la possibilità di applicare restrizioni a tutte le compagnie petrolifere, evitando che limitazioni imposte solo a Shell possano offrire ai concorrenti un vantaggio competitivo. L’obbligo di ridurre le proprie emissioni deriva, secondo la Corte, dal diritto umano alla protezione contro i pericoli legati ai cambiamenti climatici. “Spetta innanzitutto al governo garantire la tutela dei diritti umani, ma indirettamente questi diritti influenzano anche la due diligence sociale che aziende come Shell devono osservare”, scrive la Corte nella sua sentenza.
Secondo Thom Wetzer, docente di diritto e finanza all’università di Oxford, “la sentenza potrebbe sembrare favorevole a Shell, ma in realtà stabilisce il principio per cui la Corte d’Appello può imporre riduzioni assolute delle emissioni. Si tratta forse di una vittoria di Pirro, che ritarda ma non scongiura il futuro”. La sentenza del 12 novembre “renderà gli investitori più cauti nell’investire in società di combustibili fossili. Gli investitori guardano con crescente scetticismo alle società di combustibili fossili e alle loro prospettive future”. Secondo il professore, inoltre, il giudizio della società nei confronti di aziende come Shell si sta inasprendo, i modelli di business basati sulle fossili sono a rischio e gli investitori sono sempre più preoccupati per i rischi e per la valutazione al ribasso delle aziende.
Cause in crescita contro Big Oil
La decisione fa eco a una sentenza del Regno Unito, che blocca nuovi progetti di esplorazione petrolifera e di gas in coerenza con l’Accordo di Parigi. La vittoria di Milieudefensie nel 2021 ha inoltre ispirato un movimento in tutta Europa che mira a ritenere i grandi emettitori responsabili delle proprie azioni e i principi di quella causa sono ora integrati nella legislazione europea. Secondo Milieudefensie la Shell è obbligata a ridurre le proprie emissioni di CO2 in base alla prudenza sociale
Le azioni legali contro le compagnie di combustibili fossili si stanno moltiplicando a livello globale: più di 80 cause, secondo i numeri diffuso dall’organizzazione Zero carbon analytics, che coinvolgono aziende come Bp, Chevron, Eni, ExxonMobil, Shell e TotalEnergies, sono state intentate a partire dall’Accordo di Parigi del 2015, con un numero in continua crescita.
“Siamo soddisfatti della decisione del tribunale, che riteniamo giusta per la transizione energetica globale, per i Paesi Bassi e per la nostra azienda”, è stata la risposta di Shell, diffusa dal suo amministratore delegato Wael Sawan, il quale ha confermato che l’obiettivo dell’azienda è quello di diventare una società a emissioni nette zero entro il 2050.
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