La Corte penale internazionale emette i mandati di arresto per Netanyahu e Gallant

L’Aia accusa ufficialmente Netanyahu e Gallant di crimini di guerra a Gaza. Per la prima volta nella storia della Corte si chiede l’arresto di leader occidentali.

Ultimo aggiornamento delle ore 19:25 del 21 novembre 2024

In un’azione storica, la Corte penale internazionale ha emesso i mandati di arresto per il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e l’ex ministro della Difesa Yoav Gallant per crimini di guerra commessi nei territori palestinesi occupati, tra cui la Striscia di Gaza. Ora, se Netanyahu e Gallant dovessero recarsi in Paesi parte dello Statuto di Roma, dovrebbero venire arrestati. Per la prima volta dalla nascita della Corte sono stati emessi dei mandati di cattura per dei leader del cosiddetto mondo occidentale.

La Camera preliminare della Corte con sede a L’Aia ha richiesto l’arresto non solo per i due politici israeliani, ma anche per Mohammed Diab Ibrahim al-Masri (Deif), capo delle Brigate Ezzedin al-Qassam, l’ala militare di Hamas, anche se al momento non si sa se sia ancora vivo. Il procuratore Karim Khan, a maggio, aveva chiesto l’emissione dei mandati di arresto anche per Ismail Hanyeh e Yahya Sinwar, rispettivamente il capo politico e il massimo dirigente di Hamas nella Striscia di Gaza. Israele, con i suoi omicidi mirati extragiudiziari, ha impedito che i mandati venissero emessi anche per loro.

Le accuse della Corte penale internazionale

Il Procuratore Khan, nel richiedere i mandati di arresto, aveva affermato che esistessero ragionevoli motivi per ritenere che Netanyahu e Gallant avessero la responsabilità penale di aver causato la fame di massa a Gaza, che costituisce crimine di guerra e contro l’umanità. Dopo sei mesi esatti dalla richiesta, la Camera preliminare, nel suo comunicato, ha dichiarato che, in base alle prove raccolte, si possa sostenere che i due politici israeliani abbiano intenzionalmente e consapevolmente privato la popolazione civile di Gaza di risorse indispensabili alla loro sopravvivenza, tra cui cibo, acqua, medicine e forniture mediche, oltre a carburante ed elettricità.

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In verde i Paesi parte dello Statuto di Roma e in cui Gallant e Netanyahu rischiano l’arresto (via Wiki Commons)

I tre giudici accusano Gallant e Netanyahu di aver usato la carestia e la fame come strumento di guerra, di aver ucciso volontariamente la popolazione civile a Gaza e di aver commesso altri atti inumani contro la popolazione civile. Israele, sulla base dell’articolo 19.2 dello Statuto, aveva tentato di opporsi alle richieste del Procuratore basandosi sul fatto che non sia uno Stato parte dello Statuto e che, quindi, la Corte non avrebbe competenza nell’indagare e perseguire crimini commessi da cittadini israeliani. In secondo luogo, Tel Aviv aveva richiesto, ai sensi dell’articolo 18.1 dello Statuto, una nuova notifica dell’apertura delle indagini. I giudici hanno all’unanimità respinto la posizione di Israele, ribadendo la loro giurisdizione per i crimini commessi nei territori palestinesi, essendo la Palestina Stato firmatario dello Statuto di Roma e di aver per tempo inviato la notifica dell’apertura dell’indagine.

Per quanto riguarda Deif, la Camera preliminare sostiene che il capo delle Brigate al-Qassam sia responsabile di crimini contro l’umanità e crimini di guerra, tra cui omicidio, tortura, stupro e presa di ostaggi, in relazione all’attacco di Hamas a Israele del 7 ottobre, in cui i combattenti hanno ucciso più di 1.180 israeliani e il rapimento di 250 ostaggi.

Le prime reazioni

I leader dell’opposizione israeliana hanno duramente criticato la mossa della Corte penale internazionale. Benny Gantz, rivale politico di Netanyahu, ha condannato la decisione, sostenendo che l’azione della Corte mostra “cecità morale” ed era una “vergognosa macchia di proporzioni storiche che non sarà mai dimenticata”. Yair Lapid, un altro leader dell’opposizione, l’ha definita un “premio per il terrore”. Anche i membri del governo di Tel Aviv stanno pubblicamente criticando L’Aia. il ministro dei trasporti israeliano Miri Regev, il ministro per l’edilizia abitativa Yitzhak Goldknopf e il ministro per la sicurezza nazionale Itmar Ben Gvir stanno accusando i giudici della Corte di antisemitismo.

Primi commenti arrivano anche dall’Europa e dal blocco occidentale. Il ministro degli Esteri olandese Caspar Veldkamp ha dichiarato che il governo olandese rispetterebbe il mandato di arresto di Netanyahu se il primo ministro israeliano si recasse nel Paese. Dello stesso avviso è il Canada. Josep Borrell, Alto rappresentante per la politica estera dell’Unione Europea, ricorda che il mandato di arresto della Corte è vincolante per tutti i Paesi dell’Unione e ribadisce che la decisione non è politica e dev’essere rispettata.

Non sembra della stessa idea il nostro ministro degli esteri Antonio Tajani che, in una dichiarazione, ha ribadito il sostegno italiano alla Corte, ma che l’Italia valuterà il da farsi con i propri alleati, mentre il ministro della difesa Guido Crosetto, seppur criticando l’azione della Corte, ha ribadito che, nel caso in cui Netanyahu e Gallant venissero in Italia, le nostre autorità si impegneranno ad arrestarli nel rispetto del diritto internazionale. Il governo di Dublino, in un comunicato stampa, ha sottolineato quanto gravi siano le accuse e che l’emissione dei mandati di arresto sia un passo significativo verso la giustizia. Il portavoce del Ministero degli Esteri francese, Christophe Lemoine, ha dichiarato che la reazione francese ai mandati sarà “in linea con gli statuti della Corte penale internazionale”, ma ha rifiutato di dire se la Francia arresterebbe il leader se venisse nel Paese.

 

Gli Stati Uniti, in un comunicato diramato dalla Casa Bianca, “respingono fondamentalmente” la decisione della Corte penale internazionale di emettere mandati di arresto per il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e l’ex ministro della Difesa Yoav Gallant. Posizioni ancora più nette arrivano dall’entourage del neo presidente eletto Donald Trump. Il deputato Mike Waltz, che sarà il consigliere per la sicurezza nazionale del prossimo esecutivo, ha criticato la Corte sostenendo che l’istituzione non ha alcuna credibilità e queste accuse sono state smentite dal governo statunitense. Il senatore repubblicano Lindsey Graham ha addirittura richiesto che Washington sanzioni la Corte.

Condanne sono arrivate anche dal presidente argentino Javier Milei, vicino alle posizioni di Israele ha dichiarato che la decisione della Corte penale internazionale di emettere mandati di arresto  “ignora” il diritto del Paese a difendersi.

Reazioni iniziano ad arrivare anche dai Paesi arabi, in primo luogo dagli stessi palestinesi. Secondo quanto riportato da Reuters e dalla palestinese Wafa Agency, l’Autorità Palestinese e l’alto funzionario di Hamas Basem Naim hanno definito l’emissione dei mandati di arresto come un passo avanti nel rendere giustizia alle vittime gazawi, ma rimane un passo limitato se non dovesse venire sostenuto praticamente da tutti i Paesi. Hamas ha anche rilasciato una dichiarazione ufficiale in cui si chiede alla Corte penale internazionale di estendere la portata delle responsabilità a tutti i leader dell’occupazione.

Altre dichiarazioni sono arrivate da Giordania e Iraq. Sia il ministro degli Esteri giordano Ayman Safadi che l’ufficio del primo ministro iracheno Mohammed Shia al-Sudani hanno accolto con favore la decisione “coraggiosa e giusta” della Corte penale internazionale, aggiungendo che “i palestinesi meritano giustizia” e che bisogna fermare la guerra il prima possibile.

Grande soddisfazione anche dal Sudafrica, che ha portato Israele di fronte alla Corte internazionale di giustizia per il caso relativo al genocidio del popolo palestinese. In una dichiarazione, il governo ha accolto con favore la decisione dell’Aia, definendola passo significativo verso la giustizia per i crimini contro l’umanità e i crimini di guerra in Palestina.

 

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