Come costruire un nuovo multilateralismo climatico? Secondo Mark Watts, alla guida di C40, la risposta è nelle città e nel loro modo di far rete.
Quale ruolo per gli Stati Uniti d’America sul palco della Cop 23
La delegazione degli Stati Uniti è presente alla Cop 23. Cosa faranno i suoi membri dopo l’annuncio di Donald Trump di voler uscire dall’Accordo di Parigi?
“Che fanno gli americani?”. La domanda riecheggia nei corridoi della Cop 23 di Bonn. Nel corso delle due settimane di negoziati aperte ieri in Germania, infatti, gli occhi di delegati, osservatori e operatori dell’informazione presenti alla Cop 23 saranno inevitabilmente puntati sulla delegazione degli Stati Uniti. Cosa faranno i suoi componenti, alcuni dei quali erano presenti anche alla Cop 21 del 2015, al termine della quale fu raggiunto l’Accordo di Parigi? Seguiranno il lavoro compiuto finora? Manterranno una posizione neutrale, nonostante le scelte del governo di Washington? O si comporteranno da “falchi”, cercando di sabotare i negoziati, convincendo magari altre nazioni a seguirli?
Difficile immaginare che i rappresentanti di Washington possano agire in autonomia rispetto alle indicazioni, chiarissime, fornite dal presidente Donald Trump, che ha fatto sapere di voler abbandonare il processo avviato due anni fa. Eppure non tutte le informazioni fornite dalla stessa amministrazione appaiono coerenti con la politica “climatoscettica” del miliardario americano.
Un rapporto della Noaa contraddice le indicazioni di Donald Trump
L’agenzia governativa Noaa (National Oceanic and Atmospheric Administration), ha infatti pubblicato un rapporto scientifico – il “Fourth National Climate Assessment” – nel quale si conclude che i cambiamenti climatici sono reali, dipendono effettivamente dalle attività antropiche e provocano già conseguenze sulla vita dei cittadini americani. Ovvero l’esatto contrario di quanto affermato in più occasioni da Trump. Ciò nonostante, è stata proprio la Casa Bianca ad autorizzarne la pubblicazione. E non è tutto: il documento afferma anche che la situazione peggiorerà senza una forte riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra.
“Numerosissimi indizi portano a ritenere estremamente probabile che le attività umane siano la principale causa del riscaldamento dell’atmosfera registrato a partire dalla metà del secolo scorso”, si legge del rapporto. Tradotto: l’Accordo di Parigi è vitale e va rispettato. Ora, a meno che Donald Trump non abbia improvvisamente cambiato idea (senza peraltro comunicarlo al mondo), è lecito immaginare che stia tuonando contro i suoi collaboratori nella stanza ovale, chiedendo magari di licenziare i responsabili della pubblicazione. Ma tant’è: un documento ufficiale del governo contraddice le affermazioni del suo capo.
“La delegazione degli Stati Uniti seguirà Trump”. “Ma dicono di voler essere costruttivi”
Difficile capire se le conclusioni della Noaa potranno influire sul lavoro della delegazione statunitense al lavoro a Bonn. Tanto più che, anche immaginando un approccio “soft” degli americani, nulla impedirà a Trump di proseguire nel processo di uscita dall’Accordo di Parigi. Secondo Pierre Cannet, responsabile Energia e clima del Wwf in Francia, i delegati americani saranno costretti a “rispondere alle indicazioni del segretario di stato Rex Tillerson”. Ovvero all’ex numero uno del colosso petrolifero ExxonMobil. “Tra i diplomatici statunitensi, tuttavia, alcuni hanno partecipato ai lavori della Cop 21 nel 2015. La speranza è di poter contare sulla loro intelligenza per far sì che alla fine non mettano i bastoni tra le ruote alla discussione”, aggiunge il militante ambientalista.
Decidamente pessimista è Edgar Gutierrez Espeleta, presidente dell’Assemblea delle Nazioni Unite per l’ambiente: “Washington dice che l’Accordo di Parigi non è ‘giusto’ per gli Stati Uniti. Quando Trump lo ha affermato all’assemblea generale dell’Onu a New York, mi ricordo di aver visto le delegazioni di alcuni paesi applaudire. Vedremo…”. La negoziatrice figiana Nazhat Shameem Khan ha però sottolineato all’agenzia Afp che i delegati americani avrebbero manifestato l’intenzione di “partecipare in modo costruttivo”. In ogni caso, ha concluso Mohamed Adow, della ong Christian Aid, “occorrerà impedire che gli Stati Uniti si trasformino in una forza distruttrice a Bonn”.
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