Le emissioni di gas serra continuano a crescere senza sosta e senza paura. Perché i primi a essere incoscienti e a sfidare il clima siamo noi.
Cosa manca all’accordo di Parigi per essere buono
La montagna sta partorendo il classico topolino. Gli scienziati hanno lanciato l’allarme del rischio estinzione per la specie umana entro questo secolo se non blocchiamo le emissioni d gas serra.
I leader mondiali hanno preso impegni a parole ma vedo che non vogliono un accordo vincolante e stanno ancora litigando sulle risorse economiche necessarie.
Sono quattro i paesi che stanno frenando in modo palese: India, Cina, Brasile e Sudafrica verso i quali Avaaz ha lanciato una nuova petizione per non far fallire il negoziato ,cui ho aderito e chiedo di sostenere.
In realtà anche il congresso americano a maggioranza repubblicana frena e ancora l’Arabia Saudita, storico produttore di petrolio, e il Canada, nuovo produttore, sono stati in questi anni tra gli ostacoli.
Intanto 100 paesi tra i più vulnerabili e meno responsabili delle emissioni hanno lanciato un appello, a ragione, perché i paesi di vecchia e nuova industrializzazione sono oggi i maggiori inquinatori e hanno il dovere di ridurre drasticamente l’uso di fonti fossili ma anche di investire sul trasferimento di tecnologie non inquinanti e di finanziare uno sviluppo sostenibile di terza rivoluzione industriale.
Per la giustizia climatica nell’Accordo di Parigi
È questa la risposta alla domanda di giustizia climatica proveniente dai paesi più fragili che sono spesso anche i meno inquinanti e prime vittime dei cambiamenti climatici. Serve un accordo vincolante e ambizioso, ma soprattutto una revisione costante della realizzazione e dell’implementazione delle promesse (Indc) presentate alla vigilia di questo vertice.
Sarebbe utile una prima verifica già nel 2017-2018 mentre le attuali proposte citano addirittura il 2023-2025.
Impegnarsi con promesse che sono già inadeguate rispetto all’obiettivo del contenimento entro i 2 gradi del riscaldamento globale e non prevedere nemmeno delle verifiche ravvicinate significa perseverare in quella ipocrisia di proclami ecologisti cui non fanno seguito azioni concrete.
Del resto come hanno fatto osservare anche molti ambientalisti il governo di Matteo Renzi ha fatto scelte fossili (trivellazioni e inceneritori per esempio) ma si vanta dei risultati del conto energia che firmai nel 2007 nonostante lo scetticismo e l’opposizione di molti, e dell’ecobonus che introducemmo allora.
I risultati positivi per le rinnovabili e l’ambiente si devono alle manovre finanziarie del periodo 2006-2008. Poi il disastro. Tagli alle energie rinnovabili, il tentativo folle del nucleare e ora le trivellazioni nei mari e nelle campagne italiane.
L’Italia può e deve darsi l’obiettivo del 100 per cento rinnovabili entro il 2030 ed anche l’Europa può arrivarci. Solo così possiamo davvero trasferire tecnologie green al resto del mondo e garantire innanzitutto all’Africa uno sviluppo vero senza fossili.
Mi rincuora almeno aver incontrato qui alla Cop 21 di Parigi gli amici della Rainforest Alliance, che da sempre sostengo, finalmente soddisfatti per aver visto riconosciuto anche nella bozza di accordo, l’importanza della loro battaglia e delle loro istanze in favore delle foreste.
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