Per la presidente di Federbio Mammuccini, alcuni disagi degli agricoltori sono oggettivi e comprensibili, ma le proteste contro il Green deal sono inammissibili.
Dalle Marche alla Sardegna, i distretti che fanno più bio l’Italia
Nati dal basso per iniziativa di attori locali, ora i biodistretti potrebbero trovare ufficialità e risorse con il Piano d’azione europeo per lo sviluppo della produzione biologica e con la legge sul bio italiana.
Un patto per lo sviluppo sostenibile del territorio, sottoscritto dai produttori biologici, dalle amministrazioni locali e da altri ambiti della società civile. Questa è la definizione che l’Aiab (Associazione italiana agricoltura biologica) dà dei biodistretti. Per Federbio è un’opportunità per stringere alleanze, a partire dai produttori fino ai cittadini, per valorizzare i prodotti biologi, promuovere il territorio e contribuire al suo sviluppo economico, sociale e culturale in modo sostenibile. In Italia il primo biodistretto è stato istituito nel 2009 nel Cilento; nel 2019, secondo la pubblicazione tematica della Rete rurale nazionale “Distretti biologici e sviluppo locale. Linee guida per la programmazione 2021-2027” che cita come fonte Inner (International network of eco regions), si rilevavano quaranta biodistretti (32 già operativi e otto in costituzione).
Biodistretti: in Sardegna il più grande d’Italia
Negli scorsi giorni, il primo biodistretto della Sardegna, nato sei mesi fa riunendo più di cento soci, ha ricevuto il riconoscimento ufficiale dell’assessorato regionale all’agricoltura. E ora, Sardegna bio punta a diventare il più grande distretto del biologico d’Italia. Secondo i dati del rapporto Bio in cifre 2020, la Sardegna è al settimo posto in Italia per superficie agricola coltivata a biologico con 120 mila ettari (il 10,2 per cento del totale), mentre sono 2mila le aziende agricole biologiche della regione, attive nella coltivazione di foraggi, cereali, semi, vite, olivo, ortaggi, frutta. Per Andrea Campurra, presidente dell’associazione Sardegna bio, capofila del comitato promotore del biodistretto, questo strumento consentirà di fare sistema, programmare e catalizzare i finanziamenti in crescita sul biologico.
Le Marche puntano a istituire il biodistretto più grande d’Europa
Intanto nelle Marche si lavora, invece, per costruire, in tre anni, il più grande biodistretto d’Europa. Lo scorso aprile, l’assessorato regionale all’agricoltura ha firmato, con altri attori del territorio come Coldiretti, Confagricoltura, Camera di commercio, il patto per il biologico: l’obiettivo è quello di connettere le piccole e grandi realtà agricole (almeno la metà di quelle esistenti) e, come ha spiegato il vicepresidente regionale con delega all’agricoltura Mirco Carloni, fare del bio un asset strategico di sviluppo sostenibile turistico/ambientale sempre più importante per le Marche che, negli ultimi dieci anni, hanno visto gli operatori biologici passare da 2mila a 4mila con una superficie coltivata a biologico di quasi 105mila ettari, il 22,2 per cento del totale.
Biodistretti nati dal basso, ma ora serve una regolamentazione dall’alto
I biodistretti vengono menzionati nel Piano d’azione per lo sviluppo della produzione biologica della Commissione europea che incoraggia gli Stati membri a supportarne ogni sviluppo e implementazione per il raggiungimento dell’obiettivo del 25 per cento della superficie europea coltivata in biologico entro il 2030. Finora, in Italia, biodistretti, reti e alleanze nel settore biologico sono nati dal basso per iniziativa di produttori e amministratori, ma la legge sull’agricoltura biologica approvata in Senato e in attesa dell’ultimo passaggio alla Camera prevede, tra le altre cose, un riconoscimento normativo al livello nazionale dei biodistretti per stabilire obiettivi e regole per tutti gli attori coinvolti.
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