Il paese del Caucaso punta su eolico, solare e idroelettrico. Ma il legame con il petrolio è ancora forte. Quali progetti ci sono nel cassetto e che ruolo gioca l’Europa.
Cosa sta succedendo in Kazakistan e cosa c’entrano gas e criptovalute
Proteste in Kazakistan sono scoppiate per l’aumento del prezzo dell’energia. C’entrano anche le criptovalute. Intanto le autorità hanno risposto con la forza e si contano decine di morti.
- Il governo del Kazakistan ha annunciato l’eliminazione del tetto massimo sul prezzo del Gpl, usato come carburante per le auto. La gente è scesa in piazza.
- Il boom di estrazione, mining di criptovalute nel 2021 ha aumentato la domanda di energia e il suo costo. Il blocco di internet ora sta limitando queste attività.
- Sotto i riflettori ci sono anche il malgoverno, le limitazioni di diritti e libertà e la corruzione dilagante.
Da alcuni giorni violenti moti di piazza stanno scuotendo il Kazakistan. Le prime sporadiche manifestazioni sono state registrate il due gennaio, nei giorni successivi le proteste si sono allargate al resto del paese, divenendo un fenomeno su larga scala.
La popolazione lamenta l’aumento del prezzo del carburante, dopo che il governo ha deciso di eliminare il limite massimo al prezzo del gas Gpl. Si registrano decine di morti, migliaia di arresti, alcuni edifici istituzionali sono stati dati alle fiamme dai manifestanti. Il presidente Kassym-Jomart Tokayev ha risposto col pugno di ferro, tra scioglimento dell’esecutivo, coprifuoco e interruzioni di internet, che stanno mettendo in ginocchio la prolifica attività di mining (estrazione) di criptovalute nel paese. La Russia intanto ha inviato i suoi militari.
Le proteste per il gas in Kazakistan, ma non solo
Il Kazakistan è sempre stato considerato il paese più stabile dell’area ex sovietica del Caucaso. Dalla sua indipendenza nel 1991 non aveva mai vissuto momenti di particolare tensione sociale, ma questa tranquillità si è interrotta con l’arrivo del 2022. Il due gennaio alcune decine di manifestanti sono scesi in piazza nella città occidentale di Zhanaozen, poi le proteste sono cresciute in affluenza dilagando in tutto il paese, in particolare ad Almaty, la capitale finanziaria del Kazakistan.
La rabbia della popolazione ha a che fare con i prezzi del gas di petrolio liquefatto, quel Gpl con cui la maggior parte di loro alimenta le proprie automobili. Il governo ha dichiarato la sospensione del prezzo massimo del carburante, un tetto ormai insostenibile per le casse dello stato e nel giro di una notte il costo al consumatore è raddoppiato.
Quando è stato annunciato un dietrofront era ormai troppo tardi. La protesta infatti ha subito abbracciato tematiche molto più ampie del prezzo del gas, in particolare la forte corruzione nel paese, lo strapotere presidenziale in quello che è in tutto e per tutto un regime dove diritti e libertà sono limitati e al potere c’è lo stesso partito da 31 anni, e il malgoverno, con promesse di sussidi e altri sostegni alla popolazione che non sono state rispettate. Il Kazakistan ha nella sua terra una delle principali riserve di petrolio del mondo, con una produzione di 1,6 milioni di barili al giorno. Una miniera d’oro che negli anni ha attratto importanti investimenti stranieri, senza che però la popolazione abbia mai beneficiato di tutto questo: il salario medio annuo non arriva a 3mila euro.
Il bilancio drammatico e l’intervento russo
Nei primi giorni di tensione ad Almaty i manifestanti hanno dato alle fiamme la sede del governo locale e altri edifici istituzionali, sono stati occupati l’aeroporto e diverse strade mentre si sono registrati violenti scontri con le forze di polizia. Scene simili si sono ripetute in altri centri urbani, come la capitale Nur-Sultan. Il primo bilancio è stato di decine di feriti e centinaia di arresti, poi la situazione è degenerata.
Il presidente Kassym-Jomart Tokayev ha sciolto il governo, imposto uno stato di emergenza con coprifuoco e limitazioni alla libertà di movimento e autorizzato le forze di polizia a sparare senza preavviso per riportare la calma. E dopo una settimana di manifestazioni il bilancio provvisorio è di decine di manifestanti e 18 poliziotti morti (di cui almeno uno trovato decapitato), migliaia di feriti e almeno 3mila persone arrestate. “Abbiamo a che fare con banditi e terroristi armati e addestrati con cui non si può negoziare”, ha denunciato il presidente Tokayev, che è convinto ci sia una regia straniera dietro alle proteste di questi giorni. E in suo sostegno è stato attivato il Collective security treaty organization (Csto), l’alleanza difensiva simile alla Nato di cui fanno parte alcuni stati dell’ex Unione delle repubbliche socialiste sovietiche.
Una settantina di aerei hanno trasferito circa 2.500 soldati russi in territorio kazako per collaborare con le forze di sicurezza locali per il ripristino dell’ordine e della stabilità. “Le truppe resteranno per un periodo limitato”, ha sottolineato Nikol Pashinyan, primo ministro dell’Armenia e presidente di turno del Csto. L’Unione europea attraverso la voce dell’Alto rappresentante per la politica estera, Josep Borrell, ha intimato il presidente russo Vladimir Putin di rispettare la sovranità kazaka, mentre gli Stati Uniti, che hanno importanti interessi commerciali nel paese, hanno annunciato di stare vigilando sugli abusi contro i civili.
Cosa c’entrano le criptovalute col Kazakistan
Tra le misure di emergenza imposte dal presidente Kassym-Jomart Tokayev c’è anche l’interruzione di internet in alcune aree del paese. Un blocco usato di frequente nei regimi per non dare modo ai manifestanti di organizzarsi online, che sta avendo però pesanti conseguenze dal punto di vista economico.
Il Kazakistan è divenuto negli anni uno dei centri più attivi al mondo nell’estrazione di criptovalute, la cosiddetta attività di mining. Lo scorso anno le autorità cinesi hanno vietato questo tipo di operazioni nel paese, per anni il centro nevralgico in questo senso. E molti minatori di bitcoin e altre monete digitali si sono trasferiti proprio nel vicino Kazakistan, che offriva un terreno fertile per proseguire l’attività tra costi dell’energia contenuti (il lavoro di estrazione, che avviene tramite potenti macchine, richiede un grande consumo di elettricità) e una legislazione non troppo stringente. Sono circa 88mila le società che si sono trasferite nel paese nel 2021 e questo ha fatto sì che il Kazakistan sia arrivato a contare il 18 per cento dell’hashrate globale, vale a dire la potenza di elaborazione della rete bitcoin.
Negli ultimi tempi però le cose sono cambiate in negativo per gli operatori del settore, con nuove imposizioni fiscali da parte del governo. Il boom dell’attività di mining ha infatti contribuito alla crisi energetica del paese, il consumo di elettricità è salito dell’8 per cento nel 2021 e questa crescita della domanda ha contribuito a quell’innalzamento dei prezzi che oggi sta portando le persone in piazza. Il governo ha imposto misure fiscali più stringenti per i minatori di criptovalute, un ostacolo a cui ora si è aggiunto il taglio della connessione internet, sospesa dalla principale società di telecomunicazioni. Questo sta rendendo il lavoro sulle criptovalute impossibile visto che le macchine per l’estrazione operano online. In poche ore l’hashrate locale è crollato e a risentirne è stato anche il valore del bitcoin, sceso dopo mesi di grandi performance.
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