Dopo la morte della regina Elisabetta II, l’isola di Antigua e Barbuda ha annunciato di voler abbandonare il Commonwealth.
Ormai da diversi anni, il Commonwealth ha perso interesse economico e politico.
Anche altri paesi, come le Barbados e la Giamaica, intendono seguire l’esempio di Antigua e Barbuda.
La morte della regina Elisabetta II ha cambiato le carte in tavola per diversi assetti istituzionali. In primis, per le ex colonie del Regno Unito che ancora dipendono dal Commonwealth: il caso più eclatante è sicuramente rappresentato da Antigua e Barbuda che hanno annunciato di voler indire un referendum per decidere se diventare una repubblicaautonoma a tutti gli effetti.
Che cos’è il Commonwealth
Il Commonwealth delle nazioni è un’organizzazione intergovernativa composta da 56 stati indipendenti. Rappresenta più di 2 miliardi di persone, quasi tutte accomunate (eccetto gli abitanti di Mozambico, Ruanda, Gabon e Togo: questi ultimi due stati sono entrati a far parte del Commonwealth nel 2022) dalla passata appartenenza all’impero britannico, del quale il Commonwealth è una sorta di evoluzione su base volontaria.
Storicamente, il Regno Unito propose questa alleanza a livello globale alle colonie che si rendevano indipendenti. Il fine era non perdere il legame tra le colonie e la corona britannica. Fu riconosciuto formalmente nel 1926 e l’adesione è puramente volontaria: uno stato, quindi, può richiederne di farne parte ma anche uscirne in qualunque momento. Per esempio, il Pakistan ne uscì nel 1972 in segno di protesta quando fu riconosciuta l’indipendenza del Bangladesh, per poi rientrarci nel 1989.
La parola Commonwealth deriva dall’unione di common e wealth, cioè benessere comune. Chi fa parte del Commonwealth condivide i principi di sviluppo, democrazia e pace, sottoscrivendo il Commonwealth charter, il documento dove sono sintetizzate le aspirazioni e i valori dell’organizzazione. Oltre a quelli già citati, la carta stabilisce l’uguaglianza di genere, il riconoscimento degli stati più vulnerabili e altro ancora.
A cosa serve il Commonwealth
Nata principalmente come una rete di scambio culturale, almeno all’inizio il Commonwealth ha rappresentato anche un’unione economica de facto: infatti, i paesi del Commonwealth fecero degli accordi tra loro, privilegiando l’accesso delle merci ai loro mercati. Oggi si tengono conferenze sulla democrazia ma, come molte organizzazioni internazionali, anche il Commonwealth non ha strumenti specifici per farla rispettare. A dirla tutta, la rete è stata criticata per aver sospeso per condotta antidemocratica alcuni paesi (Nigeria, Fiji, Pakistan) e non altri (Brunei).
Inoltre, l’India, dopo l’indipendenza ottenuta nel 1947, ha aperto la fase del Commonwealth moderno, mantenendo l’affiliazione con la Gran Bretagna ma senza riconoscere la fedeltà alla corona, chiedendo invece lo status di repubblica indipendente. Molti stati hanno seguito l’esempio indiano mentre altri, tra cui Australia, Nuova Zelanda, Canada, hanno mantenuto Elisabetta II come loro sovrana, anche se si è trattato più che altro di un gesto simbolico.
Quali sono i paesi che fanno parte del Commonwealth?
Negli anni, si è venuto a creare un sottogruppo, chiamato reami del Commonwealth. A far parte di questa realtà sono 15 dei 56 stati che aderiscono al Commonwealth e il loro capo di stato coincide con la persona sovrana del Regno Unito. Quindi, oltre al Regno Unito, ora Carlo III sarà re di altri 14 paesi: Antigua e Barbuda, Australia, Bahamas, Belize, Canada, Grenada, Giamaica, Nuova Zelanda, Papua Nuova Guinea, Saint Kitts e Nevis, Santa Lucia, Saint Vincent e Grenadine, Isole Salomone e Tuvalu.
Per Carlo occuparsi dei reami del Commonwealth non è una novità: già dal 2018 è presidente del sottogruppo, quando la madre lo delegò a rappresentarla definitivamente non potendo più sottoporsi a viaggi lunghi.
Antigua e Barbuda propone un referendum
Ma ora diversi stati stanno cambiando idea. L’annuncio più recente è arrivato da Antigua e Barbuda, pochi giorni dopo la scomparsa della regina: il presidente dell’isola caraibica Gaston Browne ha detto che il referendum potrebbe avere luogo entro tre anni, sottolineando inoltre che non si è trattato di un “atto di ostilità”. Slegarsi dalla monarchia e diventare una repubblica, ha detto Browne, segnerebbe il “passo finale per completare il cerchio dell’indipendenza per diventare una nazione veramente sovrana”.
Oltre ad Antigua e Barbuda, anche altri stati stanno considerando l’idea di abbandonare il Commonwealth. Tra questi ci sono le isole Barbados, che avevano già prestato giuramento a un proprio presidente, e il Belize. Anche in Giamaica il partito governo ha annunciato che tra i propri obiettivi c’è un referendum per diventare repubblica.
L’unica nazione ad aver escluso un voto del genere è l’Australia, che è una monarchia parlamentare costituzionale. E continuerà a esserlo almeno per i prossimi quattro anni: così ha spiegato il primo ministro Anthony Albanese, in un’intervista a Sky news. Il Commonwealth, ha spiegato Albanese, “conta moltissimo” per il futuro del paese, in quanto “lega le nazioni grazie a una storia comune”. Secondo il premier australiano ci sono nazioni che vogliono ancora entrare a far parte della famiglia del Commonwealth, come Papua Nuova Guinea.
La premier neozelandese Jacinda Ardern ha parlato di un futuro repubblicano per il suo paese, ma senza fissare date. Di una cosa è sicura Ardern, ovvero che succederà “nel corso della [sua] vita”. Insomma, ormai è chiaro che mettere in discussione il Commonwealth significhi mettere in discussione anche la sudditanza alla monarchia.
Ricercatori della Lancaster University hanno esaminato gli effetti delle politiche di Gateshead che dal 2015 vietano l’apertura di nuovi fast food d’asporto.
Il 30 settembre, la Ratcliffe-on-Soar, la 18esima centrale più inquinante d’Europa, ha smesso di bruciare carbone. D’ora in poi produrrà idrogeno verde.
La ministra degli Interni Yvette Cooper intende inserire i casi di “misoginia estrema” all’interno di un progetto di riforma per affrontare in maniera più efficace ogni forma di estremismo.
Il piano per trasferire i richiedenti asilo in Ruanda era “morto e sepolto prima ancora di cominciare”, ha dichiarato Keir Starmer appena insediatosi come premier del Regno Unito.
Alle elezioni del Regno Unito il Partito laburista ha ottenuto la maggioranza assoluta dei seggi in parlamento. Per i conservatori il peggior risultato dal 1832.
L’Alta corte di Londra ha riconosciuto i timori di processo ingiusto: Assange potrà ricorrere in un nuovo appello contro l’estradizione richiesta dagli Stati Uniti.