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Cosmetici senz’acqua, l’etichetta non basta
L’industria del beauty inquina con le confezioni di plastica e le emissioni di CO2 per il trasporto Togliere l’acqua dai prodotti risolverebbe in parte il problema L’impatto ambientale dei cosmetici senz’acqua va valutato sull’intero ciclo di vita del prodotto “Versa in un contenitore dotato di coperchio 45 millilitri d’acqua calda e 7 grammi di polvere,
- L’industria del beauty inquina con le confezioni di plastica e le emissioni di CO2 per il trasporto
- Togliere l’acqua dai prodotti risolverebbe in parte il problema
- L’impatto ambientale dei cosmetici senz’acqua va valutato sull’intero ciclo di vita del prodotto
“Versa in un contenitore dotato di coperchio 45 millilitri d’acqua calda e 7 grammi di polvere, quindi agita per qualche secondo fino a che quest’ultima non sarà completamente disciolta”. Sembra Il piccolo chimico, sono le istruzioni per diluire uno shampoo anidro. Quella dei cosmetici senz’acqua è una routine che sempre più persone sembrano disposte ad affrontare, in vista di un beneficio estetico e ambientale.
Nata in Corea del Sud nel 2015 con l’intento di rendere sieri e lozioni più efficaci e tollerabili sulla pelle, una volta sbarcata in Occidente la tendenza della cosmesi waterless ha preso una piega ambientalista. Temi come confezioni plastic-free e riduzione delle emissioni di CO2 sono talee che propagano una nuova generazione di prodotti cosiddetti “sostenibili” nei beauty case di consumatori propensi a scelte d’acquisto consapevoli, millennial in primis.
È un primo passo promettente, se si pensa che l’industria della bellezza produce ogni anno 120 miliardi di confezioni e solo una minima parte di queste sono compatibili con la raccolta differenziata. In altre parole, il fatto che un flacone di plastica sia riciclabile non significa che verrà riciclato. C’è un altro dato che rende urgente un cambiamento. Secondo le Nazioni Unite, entro il 2025 due terzi della popolazione mondiale farà i conti con la carenza d’acqua potabile, dal momento che solo l’1 per cento dell’approvvigionamento idrico mondiale è costituito da acqua dolce accessibile. Bottiglie di bagnoschiuma e vasetti di crema nella formula classica a base di H2O non sono certo il cuore del problema, ma nella nuova versione solida, in polvere o in pastiglie fanno già parte della soluzione.
Meno è meglio
Quasi tutti i prodotti per la cura di sé listano l’acqua come primo ingrediente nell’etichetta (il cosiddetto Inci, International nomenclature of cosmetic ingredients), in percentuali spesso vicine all’80 per cento. A chi serve? “Al prodotto”, spiega Beatrice Mautino, biotecnologa e divulgatrice scientifica, “Tutti i cosmetici sono fatti di una minima componente di sostanze funzionali, dagli agenti anti-invecchiamento a quelli per una corretta detersione. Il resto è solvente”.
Quello ideale, per le aziende, è proprio l’acqua: un riempitivo finora facile da reperire e a basso costo, che dà alle texture un “tocco setoso” e permette di sciogliere i componenti specifici. Purtroppo l’H2O è anche un habitat favorevole alla proliferazione batterica, il che rende necessario l’uso di conservanti, indispensabili pure a mantenere stabile l’efficacia dei principi attivi nel tempo: i più delicati, come la vitamina C, a contatto con l’acqua si degradano velocemente.
Nei casi di ipersensibilità, gli effetti di queste sostanze sulla pelle possono includere eruzione cutanea, infiammazione e irritazione, ma sono per lo più resi innocui dai quantitativi minimi consentiti dalla normativa europea. “I cosmetici senz’acqua non contengono conservanti, stabilizzanti ed emulsionanti”, commentano da Derma Viridis, laboratorio artigianale pioniere della cosmesi anidra in Italia, “questo permette di rendere i prodotti maggiormente dermo compatibili, scongiurando il rischio di reattività. Soprattutto in caso di pelle compromessa, il prodotto anidro si dimostra l’alleato perfetto, per la sua capacità di rimanere a lungo sulla pelle e di rilasciare in modo continuo e costante i principi attivi”.
Sui conservanti chimici restano aperte le valutazioni a medio-lungo termine. Ad esempio, in uno studio recente condotto da un team di scienziati italiani, si legge che il triclosano “è un additivo antimicrobico potenzialmente pericoloso per il sistema endocrino, in caso di esposizione prolungata. […] Inoltre la sua massiccia diffusione può determinare una resistenza batterica agli antibiotici più comuni in campo medico”. Si trova in alcuni ciprie, correttori e saponi per il corpo e per le mani.
Oltre che negli ingredienti, la logica del “meno è meglio” vale anche per l’impatto sull’ambiente. In questo caso i nodi da pettinare sono due: l’inquinamento della plastica monouso per il packaging e i costi e le emissioni di CO2 del trasporto. “Far viaggiare uno shampoo liquido costa di più in termini di energia rispetto all’equivalente solido o in polvere, banalmente perché l’acqua ha un peso”, continua Mautino, “è una fase importante ma non è tutto”.
Ciclo di vita
Come divulgatrice scientifica, Mautino invita a distinguere le informazioni reali dalle operazioni di greenwashing, nel suo ultimo libro È naturale bellezza e nel podcast Ci vuole una scienza. Dopo averli letti e ascoltati, capisci che il dubbio è la base della conoscenza (Cartesio dixit) anche quando cerchi un disciplinante per capelli che non si azzuffi con la tua coscienza ambientale. “Bisogna chiedersi cosa c’è dietro un’etichetta verde e marrone e qualche slogan”, ammonisce al telefono, “un’azienda può realizzare un prodotto solido che costa poco in termini di trasporto ma magari ha una dispersione pazzesca di produzione o fa arrivare le materie prime da chissà dove. Oppure ha una gestione poco efficiente di tutta la filiera. Ecco che, anche come consumatore, hai perso tutto il vantaggio in termini di sostenibilità”.
Dopo l’onda verde dei brand indipendenti, ora anche le grandi aziende si muovono per comunicare con più trasparenza il loro impegno nel calcolare l’impatto dell’intero ciclo di vita del prodotto. Tra i big, ad esempio, c’è chi ha messo a punto un sistema di etichettatura dalla A alla E simile alle classi energetiche degli elettrodomestici, mentre qualcuno dichiara di voler raggiungere quota zero sprechi d’acqua nel processo produttivo entro il 2030.
Spetta alle aziende il lavoro più oneroso per educare i consumatori a riconoscere e pretendere prodotti realmente sostenibili. Ma nel caso dei cosmetici senz’acqua l’informazione non è l’unico ostacolo. “Il nostro è un mercato ancora di nicchia”, spiegano da Derma Viridis, “Crediamo sia dovuto anche all’abitudine d’uso dei tradizionali cosmetici a base d’acqua”. Per scongiurare la pigrizia, nella cosmesi come nell’arredamento ci vorrebbe un “effetto Ikea”: quel pregiudizio cognitivo per cui i consumatori attribuiscono un valore sproporzionato ai prodotti che hanno parzialmente creato. Allora forse accetteremmo di buon grado di aprire il cartoncino di detergente per il corpo anidro, di leggere le istruzioni per diluirlo correttamente e di ripetere l’operazione ogni volta sotto la doccia.
Prodotti in polvere e tavolette idrosolubili sono la nuova frontiera dei cosmetici senz’acqua, alternativa al solido che spesso si secca, si spezza o ammuffisce nei nostri bagni. Sembra talco ma è un body wash concentrato a base di vitamina B3 anche l’ultima novità di un brand svedese che punta tutto sul primo acquisto di un contenitore vuoto e su successivi refill in bustine di carta dal design curatissimo. Lo fanno bene anche alcuni marchi di skincare in pastiglie, con le loro boccette in vetro da riutilizzare “per sempre”, per rispettare il Pianeta e ammortizzare la spesa, visto che il costo di una confezione generalmente non è proprio per tutti: questo perché la tecnologia necessaria per produrre i concentrati water-free e il costo degli ingredienti tende ad essere maggiore rispetto ai prodotti tradizionali. Scoraggiarsi non serve: più il prodotto è concentrato, minore è il quantitativo richiesto e più lunga la durata.
È ancora presto per capire se questa nuova generazione di cosmetici anidri potrà cambiare le regole del settore. Quello che è certo è che non ci sono più scuse per ritardare la dismissione di confezioni in plastica monouso e per lasciarci alle spalle una gestione irresponsabile delle risorse idriche, anche nell’industria della bellezza. Nella scelta tra la salvaguardia dell’ambiente e le comodità di sempre vale la pena tentare nuove strade. E magari riscoprirsi così, belli senz’acqua.
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