Il gatto deve essere accompagnato con intelligenza verso il fine vita. Ma basta poco per rendere la sua terza età più agevole e accettabile.
Covid-19 e animali domestici, facciamo il punto della situazione
Uno studio italiano esclude l’ipotesi che gli animali domestici possano trasmettere la Covid-19 agli esseri umani. Facciamo il punto con l’esperto.
In merito ai contagi per la Covid-19 ci sono state in questi mesi alcune segnalazioni di cani positivi al virus. Una, recentissima, è quella di un esemplare in provincia di Bari che ha causato un ingiustificato allarmismo e molti interrogativi nei proprietari di animali domestici. Sull’episodio fa luce uno studio condotto dal dipartimento di Medicina veterinaria dell’Università di Bari, in collaborazione con l’Università di Milano, la Liverpool school of tropical medicine ed i laboratori diagnostici veterinari Mylav e i-Vet che ha dimostrato che alcuni cani e gatti – soggetti che vivevano nelle regioni maggiormente interessate dalla prima ondata pandemica – possedevano anticorpi specifici per questo tipo di coronavirus.
Nessuno degli animali testati, però, era finora risultato positivo al test molecolare, per cui è ragionevole pensare che questi pochi animali si erano infettati prima del campionamento e avevano già superato l’infezione. La maggior parte dei pet sieropositivi appartenevano a proprietari con casi di Covid-19. Il tutto testimonia ancora una volta che è lo stretto contatto con persone infette a favorire il passaggio dell’infezione ai nostri animali domestici e non il contrario. Facciamo, a questo proposito, il punto della situazione con l’aiuto di Nicola Decaro, professore ordinario di Malattie infettive degli animali presso l’Università degli studi di Bari e consulente esperto Mylav.
Covid-19 e cani
Il cane protagonista dell’ingiustificato allarme è un barboncino di un anno e mezzo, appartenente a una famiglia di persone positive per Covid-19. Il cagnolino non ha sviluppato alcuna sintomatologia, ma è semplicemente risultato positivo al test per la ricerca del virus (test che viene effettuato in cani e essere umani nella stessa identica maniera con un semplice tampone) per alcuni giorni consecutivi, per poi negativizzarsi. In tutti i tamponi effettuati sull’animale – e poi risultati positivi – sono stati riscontrati bassissimi titoli virali, per cui il cane non avrebbe potuto essere causa di contagio.
Casi sporadici di infezione nel cane da coronavirus sono descritti in diverse parti del mondo sin dall’esordio della pandemia. Il primo caso è stato segnalato, infatti, già a fine febbraio 2020 in un volpino di Pomerania di 17 anni di Hong Kong (morto poi per ragioni del tutto indipendenti dall’infezione). A distanza di pochi giorni, sempre ad Hong Kong, anche un pastore tedesco di un anno e mezzo è risultato positivo senza, però, mostrare sintomi e negativizzandosi nell’arco di pochi giorni. Altri casi sono stati poi osservati negli Stati Uniti, in Giappone, Canada e Paesi Bassi. Solo in pochissimi di questi, i cani infetti hanno sviluppato una modesta sintomatologia respiratoria, risolta in alcuni giorni, mentre la maggior parte delle infezioni è stata di tipo completamente asintomatico.
In tutti i casi segnalati, inoltre, questi animali si sono infettati a causa del contatto stretto e prolungato con pazienti umani positivi e presentavano nei loro secreti ed escreti (tamponi nasali, orofaringei e feci) titoli virali molto bassi, considerati quindi non infettanti. Anche le prove di infezione sperimentale hanno confermato che il cane non ricopre assolutamente un ruolo epidemiologico nella pandemia. Non tutti i soggetti infettati sperimentalmente si sono contagiati e quelli che si sono infettati hanno sempre sviluppato infezioni asintomatiche, caratterizzate da una bassa carica virale ed evidenziabile solo con il test molecolare. Invece, le prove di isolamento su colture cellulari (le uniche che possono dimostrare l’infettività del campione biologico) sono sempre risultate negative. Inoltre, non tutti i soggetti che sono risultati infetti hanno prodotto anticorpi specifici.
Le conclusioni dello studio italiano
In conclusione, sia i casi di infezione naturale che le prove di infezione sperimentale, documentano una scarsa sensibilità del cane nei confronti del virus e un ruolo epidemiologico trascurabile, se non del tutto inesistente. Rispetto ai quasi 60 milioni di uomini contagiati dalla Covid-19 in tutto il mondo, non esiste, a oggi, un solo caso di trasmissione dal cane (o dal gatto). I cani, perciò, sono al massimo, “vittime” del contagio da parte dell’uomo e non “untori”. Proprio per questo, secondo il principio di massima cautela e per le linee guida di tutte le società scientifiche internazionali che si occupano degli animali da compagnia, i cani (e i gatti) che vivono in famiglie positive per la Covid-19 devono essere “protetti” dal contagio, per cui si consiglia di farli accudire dai componenti della famiglia non infetti oppure, in caso di positività dell’intero nucleo familiare, da parenti o amici che magari possano tenerli a casa propria per tutto il tempo necessario.
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