Le creme solari utilizzate durante ogni visita in spiaggia rischiano di danneggiare la vita marina. Sono soprattutto le barriere coralline a subire dei deterioramenti provocati dalle lozioni, ma le acque del Mediterraneo stanno correndo i medesimi rischi. È la professoressa italiana Cinzia Corinaldesi ad aver condotto delle ricerche a riguardo e i risultati ottenuti hanno portato alla luce i danni causati dalla dispersione delle creme solari in mare, che si vanno ad aggiungere al già preoccupante scenario dovuto ai cambiamenti climatici e dall’inquinamento da plastica.
Gli effetti dannosi delle creme solari
Gli studi di Corinaldesi, ripresi di recente in un articolo del quotidiano inglese The Guardian, si concentrano sulle 4.000-6.000 tonnellate annue di lozione rilasciate vicino le barriere coralline. La professoressa del Dipartimento di Scienze e Ingegneria della Materia, dell’Ambiente ed Urbanistica (Simau) dell’Università Politecnica delle Marche e i suoi colleghi hanno pubblicato un documento sullo sbiancamento dei coralli dovuti all’effetto delle creme solari.
La scienziata ha spiegato la situazione a LifeGate: “Gli effetti dannosi per la vita marina e le barriere coralline di cui stiamo parlando è quello dovuto alle creme solari che sono tra i principali prodotti per la cura personale che possono essere rilasciati in quantità elevate in aree turistiche affollate, senza alcun filtro né depurazione, durante la balneazione”.
Tra i responsabili principali di tali effetti (anche perché sono stati i più studiati) sono i filtri protettivi contro i raggi UV dannosi per la nostra pelle. Tra questi, quelli organici (detti anche chimici) come ossibenzone e ottinossato (ottil-metossicinnamato) sono stati anche banditi alle Hawaii e il divieto è stato esteso ad altri ingredienti cosmetici (ad esempio i parabeni) ed adottato anche da resort e parchi in Florida, Messico, Isole Vergini, Repubblica di Palau e altrove. L’ossibenzone e l’ottinossato non sono gli unici ingredienti nocivi per la vita marina e le barriere coralline: all’interno di un prodotto solare possono esserci anche altri ingredienti dannosi, molti dei quali ancora non sono stati studiati.
Come è stata calcolata la cifra di tonnellate di crema disperse nei mari?
Nel nostro primo studio relativo ad aree tropicali con scogliere coralline pubblicato nel 2008 abbiamo stimato che la crema solare potenzialmente rilasciata in aree tropicali con scogliere coralline è di 4.000-6.000 tonnellate/anno. Tale stima è stata fatta tenendo in considerazione: la dose e l’uso medio giornaliero della crema solare, il numero di turisti nelle zone tropicali, la produzione annue di filtri UV, la stima della quantità di crema solare utilizzata in tali zone (tra le 16mila e le 25mila tonnellate) e la percentuale di crema solare che mediamente viene dilavata dalla nostra pelle durante la balneazione (determinata attraverso un esperimento di laboratorio). Si prevede che il mercato mondiale delle creme solari aumenterà a un tasso di crescita di circa il 5,2 per cento nei prossimi cinque anni e raggiungerà i 660 milioni di dollari nel 2024. Se da un certo punto di vista questi dati ci tranquillizzano perché i consumatori hanno preso consapevolezza dell’importanza di proteggere la loro pelle dai danni dei raggi UV, aumenta anche la preoccupazione per l’effetto che questi possano avere sulla vita marina.
Ci sono danni già evidenti nel mare provocati da queste creme?
Negli ultimi dieci anni, da quando abbiamo iniziato a condurre studi sull’effetto delle creme solari sulla vita marina, sono aumentate in maniera esponenziale le evidenze sugli effetti negativi non solo sui coralli, ma su forme di vita che vanno da quelle più piccole, come il fitoplancton, fino ai grandi animali come le tartarughe. Comprendere quanto le creme solari e i loro ingredienti contribuiscano al degrado di mari e oceani purtroppo è una questione molto complessa, considerando che gli ecosistemi marini sono costantemente sottoposti a impatti antropici multipli (dai cambiamenti climatici allo sfruttamento delle risorse e all’overfishing, all’inquinamento di sostanze persistenti, come le plastiche, allo spargimento di patogeni) che determinano in maniera sinergica il loro deterioramento.
Le creme solari costituiscono un’ulteriore forma d’impatto sugli ecosistemi e ne peggiorano lo stato di salute rendendoli ancora più vulnerabili. In particolare, i coralli sono già a rischio a causa di stress multipli e cambiamenti climatici, pertanto se non cominciamo a ridurre il loro numero e portata, le generazioni future (probabilmente già i figli dei nostri figli) non avranno più la possibilità di vedere questi splendidi ecosistemi, fondamentali da un punto di vista ecologico e per i beni e servizi che forniscono all’umanità.
Cosa dovrebbero fare i consumatori?
I consumatori dovrebbero scegliere dei prodotti che non contengano i filtri dannosi, come quelli elencati sopra, e prodotti eco-compatibili (reef safe o eco-friendly). Inoltre, i consumatori dovrebbero leggere con attenzione le etichette dei prodotti solari e verificare che ci siano chiari riferimenti a test effettuati da istituzioni scientifiche indipendenti dalle aziende produttrici delle creme solari. Sulle confezioni dei prodotti dovrebbero essere riportati in modo trasparente i test che sono stati eseguiti per valutare l’impatto delle creme solari sulla vita marina. Se i prodotti dichiarano questi dettagli offrono una maggior garanzia.
Si dovrebbe prestare più attenzione al problema delle creme?
Alcuni ricercatori esperti di impatti dei cambiamenti climatici su ecosistemi tropicali, come Terry Hughes, intervistato dal The Guardian, sono preoccupati che l’interesse crescente sul problema delle creme solari possa distogliere l’attenzione di turisti e politici dal problema dei cambiamenti climatici. L’impatto dei cambiamenti climatici sulle scogliere coralline rimane un problema fondamentale, ma sappiamo anche che lo sbiancamento dei coralli è dovuto ad altri fattori, tra cui l’inquinamento e la diffusione di malattie. Le creme solari oltre a determinare lo sbiancamento dei coralli possono agire in sinergia con tutti gli altri fattori, peggiorandone gli effetti. Mentre la lotta ai cambiamenti climatici è una questione molto complessa che richiede l’impegno congiunto dei governi del mondo, ognuno di noi può contribuire a salvare la vita marina eliminando l’uso di creme solari non eco-compatibili.
Esistono metodi migliori per proteggersi dai danni del sole?
Forse il metodo migliore per proteggersi dai danni del sole è quello di indossare indumenti protettivi ma esistono in commercio anche prodotti molto efficaci per la protezione della nostra pelle dai danni del sole. Credo che siamo molto più avanti nello sviluppo di ottime creme solari per la nostra sicurezza piuttosto che per quella dell’ambiente e che, comunque, si possano conciliare le due cose. Soprattutto considerando la crisi climatica in corso, la perdita di biodiversità e di habitat del nostro pianeta e per affrontare realmente un percorso di transizione ecologica credo che sempre di più dovremmo pensare di conciliare la nostra salute con quella dell’ambiente in cui viviamo. Questo è il concetto alla base del 14° Sdg (Sustainable Developmental Goal) delle Nazioni Unite e dell’approccio One Health (Una sola salute), accettato anche dall’Oms, dove oceani e mari sani sono considerati un prerequisito fondamentale per la salute umana.
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