L’ossessione per la crescita ha generato un’economia del burn-out

Secondo un rapporto delle Nazioni Unite competizione e corsa alle performance colpiscono la salute mentale dei lavoratori, moltiplicano i casi di burn-out.

L’ossessione per la crescita ad ogni costo, considerata spesso come uno fine in sé, piuttosto che come uno strumento, sta generando “un’economia del burn-out”. A spiegarlo è un rapporto delle Nazioni Unite, curato dal Relatore speciale sulla povertà estrema e sui diritti umani, Olivier De Schutter, secondo il quale il nostro modello di sviluppo sta provocando gravi problemi alla salute mentale dei lavoratori. A cominciare proprio da quelli più vulnerabili.

I lavoratori poveri i più vulnerabili di fronte a depressioni e burn-out

“La tendenza attuale – ha spiegato il dirigente – è la promozione di società ossessionate dalla crescita, che si caratterizzano da un clima di competizione e corsa alla performance. Il che fa emergere un sentimento di ansia legata al proprio status, che può portare anche alla depressione. Soprattutto nei casi di tutti quei lavoratori e quelle lavoratrici che non riescono a rispondere ad aspettative irreali”.

Il che, tra l’altro impone enormi perdite monetarie. “La crescita può diventare anti-economica – si legge nell’introduzione del rapporto – quando minaccia la salute mentale”. L’economia del burn-out, infatti, comporta costi che secondo De Schutter sono quantificabili in circa mille miliardi di dollari all’anno, poiché gli episodi di depressione costringono i lavoratori a fermarsi o, in ogni caso, a rallentare i ritmi. Senza dimenticare che, soprattutto nelle società più povere, molte persone non sono neppure in grado di curarsi, né esistono strutture preposte a tale scopo.

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Il modello di sviluppo basato su competitività, ricerca della performance e della crescita ad ogni costo ha un impatto grave sulla salute mentale dei lavoratori © Pixabay

Il fenomeno costa circa mille miliardi di dollari all’anno

“È un circolo vizioso”, ha aggiunto l’esperto delle Nazioni Unite, anche perché è la stessa povertà a legarsi a filo doppio ai problemi di salute mentale, essendone al contempo fonte e conseguenza. E a preoccupare sono anche le dimensioni del fenomeno, poiché secondo l’Organizzazione mondiale della sanità a patire problemi di questo genere sono circa 970 milioni di persone a livello globale.

Come facilmente immaginabile, d’altra parte, più si è poveri, più si è vulnerabili anche di fronte a questo tipo di patologie: chi è costretto a vivere nella precarietà spesso non può permettersi di scegliere il proprio lavoro. E così accetta “carichi elevati, esigenze di produttività sempre maggiori, assieme alla mancanza di controlli sull’esecuzione dei compiti”, sottolinea ancora De Schutter.

Le soluzioni: benessere, lotta alle disuguaglianze e reddito di base

Secondo il dirigente dell’Onu, però, “è possibile uscire da questi ingranaggi. A condizione di cominciare a privilegiare il benessere rispetto alla corsa senza fine alla crescita economica”. E purché, nei casi di burn-out, “si vada al di là del semplice trattamento dei sintomi: dobbiamo comprendere il fatto che è l’economia ad esercitare pressione sugli individui”.

Il Relatore speciale delle Nazioni Unite ha lanciato per questo motivo un appello affinché si lotti contro le diseguaglianze e si prendano in considerazione i rischi psicosociali legati al lavoro. Ma anche l’introduzione “di un reddito di base senza condizioni” è stato citato da De Schutter come una delle possibili soluzioni.

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