È un uccellino variopinto il protagonista della copertina dell’ultimo numero di Science, pubblicato il 14 gennaio 2022. Per la precisione è un barbetto dalla gola blu (Psilopogon asiaticus), ritratto nel Bhutan meridionale, mentre mangia un fico su un albero spargendone i semi nell’ambiente. Con quest’immagine, l’autorevole rivista scientifica presenta un nuovo studio condotto da quattro diverse università, tra Stati Uniti e Danimarca, che ci invita a riflettere su un’altra pesante conseguenza della crisi della biodiversità in corso: se vengono a mancare gli animali che si occupano della disseminazione, molte piante non sono più in grado di adattarsi al mutamento delle condizioni climatiche. Rischiando, così, l’estinzione.
New in Science: Revelations from a four-billion-year-old Martian meteorite, persuading people to mask, and the effects of defaunation on plants’ capacity to track climate change.
Più della metà delle specie vegetali presenti nel Pianeta dipende dalla cosiddetta disseminazione zoocora, cioè ad opera degli animali. La ciliegia per esempio viene mangiata dagli uccelli che ne espellono poi il seme ancora intatto. I semi della bardana, una pianta infestante usata anche in erboristeria, restano attaccati al pelo dei mammiferi e “viaggiano” con loro. Anche questo inestimabile servizio però rischia di essere compromesso dalla sesta estinzione di massa, provocata dall’uomo, che ha visto già scomparire quattrocento specie di vertebrati nell’ultimo secolo, in un processo a catena in cui l’estinzione genera estinzione.
Uno dei primi studi sul tema è opera di tre atenei statunitensi – la Rice University in Texas, l’università del Maryland e l’università statale dell’Iowa – e uno danese, l’università di Aarhus. I ricercatori hanno rielaborato i dati ricavati da migliaia di ricerche sul campo, processandoli anche attraverso algoritmi di machine learning, per descrivere in modo accurato le modalità di disseminazione da parte delle varie specie di uccelli e mammiferi. Hanno anche creato e messo a confronto delle mappe: da un lato la disseminazione attuale, dall’altro lato quella che avverrebbe senza il collasso della biodiversità causato dall’uomo. Al termine della loro analisi, sono arrivati a dire che già adesso le piante hanno perso il 60 per cento della loro capacità di reagire ai cambiamenti climatici.
Perché le piante non riescono più ad adattarsi al clima
“Le piante per definizione stanno ferme, quindi hanno sempre fatto affidamento sugli animali per il trasporto di semi e polline”, spiega al Guardian il professor Carlos Peres dell’università della East Anglia, che non ha partecipato in prima persona allo studio. Ci sono alberi, per esempio, che vivono per secoli. Considerato che in un periodo così lungo il clima cambia in modo tangibile, hanno bisogno di un animale che trasporti i loro semi verso un nuovo habitat divenuto più adatto.
“Eppure gli esseri umani hanno sistematicamente portato all’estinzione i grandi animali capaci di disperdere i semi a notevoli distanze”, continua Peres. “Questo studio dimostra che queste basilari funzioni di disseminazione si sono drasticamente ridotte da quando gli esseri umani hanno conquistato tutte le isole e i continenti, lasciando alle piante una scarsa resilienza adattiva contro le odierne devastazioni portate dai cambiamenti climatici”. Il messaggio che ne emerge è netto. “Quando perdiamo mammiferi e uccelli dagli ecosistemi, non perdiamo soltanto delle specie”, conclude Evan Fricke, primo autore dello studio. “Il declino degli animali può interrompere le reti ecologiche in modi che minacciano la resilienza climatica di interi ecosistemi su cui le persone fanno affidamento”.
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