In Europa la transizione energetica è vicina, grazie a un mix di eolico e solare, ma infrastrutture e burocrazia rischiano di rallentarla
La crisi del carbone in Europa: quattro centrali su cinque sono in perdita
Il carbone è destinato al fallimento economico. In Europa rischia un buco di 6,6 miliardi di euro nel 2019. E in futuro gli affari andranno sempre peggio.
In Europa, quattro centrali a carbone su cinque hanno i bilanci in rosso. Nell’arco di quest’anno rischiano di perdere complessivamente ben 6,6 miliardi di euro. A dirlo è il think tank Carbon Tracker, che ha pubblicato un nuovo report intitolato Apocoalypse Now (gioco di parole che inserisce la parola coal, carbone, nel titolo del celebre film di Francis Ford Coppola).
“Le centrali a carbone europee stanno bruciando denaro perché non possono competere con le rinnovabili e il gas, sempre più economici. E le cose andranno sempre peggio in futuro. Governi e investitori dovrebbero prepararsi a dire addio al carbone al più tardi entro il 2030”, avverte Matt Gray, co-autore del report. A meno che non venga pesantemente sovvenzionata coi soldi dei contribuenti, infatti, quest’industria è destinata a soccombere.
#Renewable power is the cheapest source of electricity in many parts of the world already today, finds @IRENA ‘Renewable Power Generation Costs in 2018’ report. #Renewables cheaper or within range of #FossilFuels https://t.co/ruYKOtEel7 pic.twitter.com/KSou38pd3p
— Carbon Tracker (@CarbonBubble) October 29, 2019
Tutti i numeri che provano la crisi del carbone
Carbon Tracker ha messo a punto un modello economico che ha macinato i dati pubblici su 542 centrali (pressoché tutte quelle presenti in Europa), considerando i costi operativi, i prezzi delle quote di emissioni e i costi necessari per allinearsi alle normative, per esempio installando nuovi filtri.
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I risultati sono inequivocabili. L’84 per cento delle centrali a lignite e il 76 per cento di quelle ad antracite risulta in passivo. Per la precisione, si apprestano a mandare in fumo rispettivamente 3,54 e 3,03 miliardi di euro nell’arco del solo 2019. La nazione più in bilico è la Germania, che da sola potrebbe fare un buco di 1,97 miliardi di euro, seguita da Spagna (992 milioni) e Repubblica Ceca (899 milioni). L’utility che rischia di rimetterci più soldi è proprio la tedesca Rwe, che nel 2019 potrebbe perdere 975 milioni di euro, cioè il 6 per cento della sua capitalizzazione di mercato. Ma anche la ceca Eph e la greca Ppc rischiano di dire addio a oltre mezzo miliardo di euro ciascuna.
I rari casi di centrali in attivo si trovano in Polonia, Germania, Italia, Paesi Bassi, Repubblica Ceca e Slovenia; fatta eccezione per Paesi Bassi e Olanda, questi paesi godono di prezzi dell’energia al dettaglio che sono ancora piuttosto alti.
Il declino del carbone ormai è inesorabile
Non è la prima volta in cui Carbon Tracker solleva l’attenzione sul declino inesorabile del carbone, sottolinea Euractiv. Già nel 2015 il think tank britannico aveva reso noto che questo business era costato ben 100 miliardi di dollari ai cinque maggiori colossi europei dell’energia, nel quinquennio compreso tra il 2008 e il 2013. Un altro report del 2017 aveva svelato che il 54 per cento dei progetti legati al carbone generava un flusso di cassa negativo, una percentuale destinata a salire fino al 97 per cento entro il 2030.
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Insomma, l’unica via d’uscita è quella di chiudere per sempre con la fonte più sporca in assoluto. Cosa che peraltro, nonostante le resistenze delle lobby, in parte sta già accadendo. Tra marzo e agosto di quest’anno, fanno sapere i ricercatori, la produzione di antracite è calata del 39 per cento rispetto allo stesso periodo del 2018. Per quella di lignite la diminuzione si è attestata sul 20 per cento.
Foto in apertura © Sean Gallup/Getty Images
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